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Il dibattito: Questo ciclismo è tutto da rifare - Michele Acquarone e alcune proposte rivoluzionarie

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Michele Acquarone © SkySports.comLa defenestrazione di Michele Acquarone da RCS Sport è una vicenda che presenta ancora molti punti oscuri. Sospeso e poi licenziato a causa di una non meglio precisata responsabilità di omesso controllo su un ammanco di 13 milioni di euro dalle casse della società, il dirigente ligure ha fatto causa all'azienda per diffamazione, e sostiene che tutto ciò che era materia amministrativa e finanziaria non passava dalle sue mani, ma dagli uffici di RCS Media Group (società che controlla RCS Sport).

Il sospetto che qualcuno, ai piani alti, possa aver manovrato nell'ombra e poi fatto ricadere la colpa su qualcuno dei piani un po' meno alti, è tuttora presente (tantopiù che Acquarone non è stato denunciato o indagato per alcunché, anche in seguito alle indagini interne che RCS ha svolto nei mesi scorsi). Ma questa è una questione che non riguarda il senso dell'articolo che state leggendo: la giustizia, in un senso o nell'altro, farà il suo corso; noi qui, fatto il punto della situazione sulla vicenda, vogliamo parlare di altro.

L'ex direttore generale del Giro d'Italia sta infatti portando avanti da tempo una campagna per animare il dibattito intorno al ciclismo, a quello che è e a quello che dovrebbe essere. Quello che è riassumibile ad esempio in un tweet che Acquarone ha diffuso lo scorso 12 marzo (giorno di inizio della Tirreno-Adriatico): "BBC News tonight: Champions League + football, horse racing, tennis. No P-N, no T-A, no cycling at all. Weak WT, no drama, no news, no fans". Povero World Tour, non appassiona, non ha tifosi, non se ne parla, e i media di tutto il mondo preferiscono dare più spazio ad altri sport.

Un concetto che riprendeva quanto qualche settimana fa il manager sanremese ci espresse in uno scambio di opinioni: «Il mondo del ciclismo professionistico potrà fare un reale salto di qualità (e quindi aumentare significativamente il numero degli appassionati) solo quando si riuscirà a centralizzare calendario e diritti offrendo a chi lo segue un prodotto con un capo ed una coda. Ma a breve non sono previsti stravolgimenti e quindi "godiamoci" Modolo e Kristoff e Valverde che vincono in contemporanea delle gare che nessuno vede e che a nessuno interessano...».

«Perché Manchester United e Real Madrid hanno milioni di fan su Facebook e un Team Sky ne ha forse 300mila? Quanti follower ha Froome? 100mila? Nadal e Federer ne hanno più di 12 milioni. È chiaro che con questi ordini di cifre i grossi sponsor globali come Nike o Adidas riversino milioni in altri sport ma si guardino bene dall'investire sul ciclismo», spiegava qualche mese fa al blog americano The Outer Line (gestito da Joe Harris e Steve Maxwell, due esperti di ciclismo e management), sottolineando come il ciclismo dovrebbe spingere di più sulla fidelizzazione dei tifosi alle squadre più che ai ciclisti. Per far ciò, si dovrebbe passare da una più marcata appartenenza territoriale dei team («Se fossi la Garmin, stamperei la bandiera a stelle e strisce sulle maglie»), e ovviamente il merito sportivo dovrebbe avere la meglio su altre formule che stabiliscono quale squadra è più forte: «I team più ricchi possono ingaggiare corridori con molti punti per avere una licenza World Tour: è una cosa antisportiva ma anche antibusiness, insomma una totale follia».

Acquarone si spinge anche ad ipotizzare calendari rivoluzionati rispetto ad oggi («Quattro grandi giri di due settimane - comprendenti tre weekend - e un calendario di 25-30 top events che spingano i corridori di vertice a gareggiare l'uno contro l'altro per una novantina di giorni all'anno»), e più in generale, nell'attesa di ritrovare un ruolo nel ciclismo che conta, sposa il progetto messo a punto proprio da The Outer Line, il quale ha prodotto un documento chiamato A Roadmap to Repair Pro Cycling.

Tale documento (in inglese) è scaricabile da questo link; siccome il tema di discussione è molto importante, vogliamo raccogliere l'invito di Acquarone e proporre un sunto di quanto scritto in questa roadmap. Non perché condividiamo tutto quello che vi si legge; ma semplicemente perché stimolare il dibattito su queste tematiche non è un impegno da limitare ai mesi invernali (quando su strada non si corre e c'è più spazio per parlar d'altro), ma da attuare anche quando gli appassionati, tra una Tirreno e una Sanremo, sono avidamente alla ricerca di notizie di ciclismo (e quindi possono cogliere anche questi stimoli di discussione). Per dare un'idea non tanto di quel che il ciclismo è oggi (quello lo vediamo quotidianamente coi nostri occhi), quanto di quel che potrebbe diventare domani, visto che determinate linee di cambiamento sono ormai condivise da molti "stakeholders" (ovvero - traducendo alla buona - le parti in causa) di questo sport.

Il primo punto della roadmap indica la necessità di una Commissione per la Verità e la Riconciliazione. Lo diciamo subito, di tutto il documento è il tema più fumoso, perché prevede che gli attori del ciclismo, attraverso un pubblico riconoscimento dei propri errori del passato e la confessione piena di ogni addebito, aiutino a far luce su tutto il marcio che da anni si annida nelle pieghe di questo sport. Solo in caso di effettivo valore di confessioni e rivelazioni (e a fronte dell'impegno di non ricadere nei soliti meccanismi), arriverebbe un'amnistia per il "colpevole" redento.

Concetti abbastanza alati che però fanno a pugni con un'analisi della realtà: cosa succederebbe, al ciclismo così "ripulito", quando un domani dovessero verificarsi nuovi casi di doping? Il gioco non vale la candela, sotto nessun punto di vista. Ricostruirsi una verginità che incorrerebbe nel rischio di essere riperduta in un futuro prossimo sarebbe un atto abbastanza controproducente. Meglio evitare, e battere altre strade, a partire da una maggiore collaborazione con le squadre nell'ottica di un Passaporto Biologico dall'applicazione sempre più preventiva. Ridurre le positività e i casi al limite è l'unico obiettivo sensato. Tutto il resto è un po' fuffa.

Il terzo punto è strettamente legato al primo e riguarda il tema etico: tutti gli attori del ciclismo dovrebbero sottostare a una carta etica che preveda regole certe e sanzioni inflessibili. Il profilo etico dovrebbe diventare nel tempo una discriminante decisiva anche nel percorso di un atleta sin dalle categorie giovanili (della serie: il tuo ds tra gli allievi era a posto con la carta etica? Allora ti possiamo offrire un contratto da pro'). Anche in questo caso l'idea si scontra un po' con la realtà di un'applicazione che rischierebbe di essere difficile, e di svilupparsi a macchia di leopardo. Comunque quest'idea sembra più efficace della precedente (e in parte in questi anni è già stata applicata).

Il secondo punto è invece molto interessante, e va dritto al centro della questione: come può uno sport che non si basa su entrate fisse e predefinibili (quelle, ad esempio, dettate dagli incassi negli stadi di calcio), ma è troppo legato alle sponsorizzazioni, a creare un valore sostenibile che soggiaccia a investimenti forti e duraturi da parte di aziende importanti? L'incertezza che vige come regola aurea in questo sport può essere esiziale, a lungo termine.

La soluzione, secondo la roadmap, è nel non aver paura di cercare nuove e diversificate fonti di sostentamento, nella revisione dei calendari al fine di ottenere un prodotto più appetibile e quindi vendibile (perciò: niente più sovrapposizioni di gare importanti, e una lista più snella di eventi forti), e soprattutto nella decisione di condividere le entrate del ciclismo tra le diverse parti in gioco (organizzatori, squadre, corridori): e qui si parla sostanzialmente (allo stato dei fatti) di diritti televisivi. Un altro aspetto da prendere seriamente in considerazione sarebbe una spinta verso il rafforzamento di un sistema di "franchigie", quindi di squadre stabili nel tempo che possano coagulare interesse e tifosi intorno a sé e non siano legate agli umori dello sponsor del momento.

L'UCI dovrà lavorare proprio in questa direzione, e l'auspicio è che ciò avvenga sotto il nuovo corso del neopresidente Brian Cookson (che intanto ha rinviato di due anni la riforma del ciclismo professionistico, nell'attesa di mettere a punto un sistema più efficace di quello prefigurato dall'ultimo McQuaid).

Il quarto punto, infine, riguarda la governance del ciclismo. In soldoni, le varie parti devono interagire in maniera molto più proficua, rafforzare le rispettive associazioni di categoria (soprattutto quella dei corridori), e - per quanto riguarda il ciclismo di vertice - confrontarsi con una Lega professionistica che si occupi di organizzare e gestire tutto quel che potremmo assimilare oggi al World Tour. L'UCI, da parte sua, dovrebbe riformarsi profondamente per cancellare opacità e conflitti d'interessi, ma anche farsi da parte rispetto al corpus del ciclismo professionistico (che afferirebbe come dello alla Lega Pro).

La roadmap approfondisce la necessità del cambiamento, in un ambiente solitamente restio alle idee progressiste, perché se è vero che qualcuno inevitabilmente potrebbe avere da perderci nell'immediato, i benefici sul lungo termine sarebbero utili per tutti. "Iniziamo almeno un dibattito serio su questi temi", è l'invito di The Outer Line, che quasi suggerisce l'importanza che voci da fuori diano un quadro più neutro del ciclismo, visto che molti di quelli che ne tirano oggi i fili hanno vissuto sempre in un determinato sistema, e tendono a non concepire sistemi alternativi.

Marco Grassi

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