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Stagione WE 2014: Ragazze, il primo tango si ballerà a Parigi - ASO crea La Course, sui Campi Elisi poche ore prima del Tour | Cicloweb

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Stagione WE 2014: Ragazze, il primo tango si ballerà a Parigi - ASO crea La Course, sui Campi Elisi poche ore prima del Tour

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L'iridata Marianne Vos con il vincitore del Tour de France 2013 Chris Froome © Anton VosSi inizierà dalla fine. L'auspicata rifondazione del ciclismo femminile vedrà il primo atto pratico il 27 luglio 2014. Perché dalla fine? Due motivi: dove e con chi. Dove: il miglior luogo che il femminile potesse sperare di conquistare, gli Champs-Elysées, Parigi. Un sogno ad occhi aperti. Con chi (o meglio, prima di chi): poche ore prima della tappa finale del Tour de France.

Ebbene sì, ASO ce l'ha fatta e porterà le ragazze a gareggiare nella capitale francese poche ore prima dell'arrivo dei maschi. Già il Tour aveva lavorato alla grande l'anno scorso, con la passerella finale in notturna ed i festeggiamenti di maglie e squadre, l'Arco di Trionfo sullo sfondo. Quest'anno ci saranno anche le donne che finalmente potranno beneficiare dell'esposizione mediatica massima, per ciò che riguarda il ciclismo: media di e da tutto il Mondo concentrati a Parigi, sugli Champs-Elysées, per l'arrivo dei colleghi (ma solo a parole, per ora), potranno conoscere e far conoscere l'altra metà del cielo ciclistico.

Si chiamerà La Course by Le Tour de France, sarà una gara in linea, verrà presentata più dettagliatamente in primavera, ma già il fatto di averla in calendario era impensabile solo qualche anno fa. Da dove arriva questa svolta? Non da troppo lontano. Il 12 luglio 2013 la ciclista, triatleta, scrittrice, regista ed editorialista di ESPN Kathryn Bertine, con un'altra triatleta, Chrissie Wellington, e le due campionesse Emma Pooley e Marianne Vos lanciano una petizione online su Change.org. Messaggio semplice: vogliamo un Tour de France parallelo, quello femminile.

Il successo è strepitoso. Ben 3000 firme nelle prime dodici ore, 10000 nei primi due giorni, ad oggi siamo a quota 97000. Le atlete sopra citate fondano Le Tour Entier al grido Liberté, Égalité, Cyclisme: un manifesto, tanti punti per migliorare il ciclismo femminile e fargli fare un balzo decisivo, una volta preso atto del totale fallimento del (ri)lancio del movimento da parte dell'UCI di Pat McQuaid.

Le Tour Entier inizia a dialogare con ASO (Amaury Sport Organisation, società organizzatrice anche del Tour de France). Chiaramente è impossibile imbastire un Tour femminile sin dal 2014, si incontrano anche persone scettiche, come Rochelle Gilmore, team manager della Wiggle Honda. Però la Gilmore coglie nel segno: «Si dovrebbe iniziare con una corsa femminile parallela al Tour o nel finale o per Le Grand Départ, in Gran Bretagna». Si percorrerà la prima strada suggerita dall'atleta-manager australiana ed il 27 luglio, insieme alla maglia gialla, verrà incoronata la prima vincitrice de La Course by le Tour de France. Iniziativa importantissima, «rivoluzionaria», come ha detto Marianne Vos, e però non deve rimanere un granello di sabbia nel deserto.

Auspicabile che dalla kermesse parigina (o quel che sarà) si arrivi un giorno ad un Tour de France parallelo, ma se questo sarà la ciliegiona sulla torta, le altre portate dovranno risultare altamente appetitose. Della stagione che inizierà domani con il Tour of Qatar, continuerà con la Coppa del Mondo, il Giro Rosa per culminare con i Mondiali di Ponferrada, non diremo cosa ci aspetta (ossia dove correranno atlete, squadre,e via discorrendo), ma cosa vorremmo ci aspettasse. Non solo per quest'anno, ma per i prossimi, soprattutto.

Per prima cosa, è indispensabile affiancare il più possibile le corse femminili a quelle maschili. Non solo per location (anche sì), ma per copertura mediatica (e non si parla solo di dirette tv, che ancora scarseggiano, purtroppo). C'è chi non è d'accordo («Non mi si venga a dire che le gare femminili organizzate con quelle maschili hanno dato maggior visibilità al ciclismo femminile! [...] Se parliamo di livello organizzativo mi sta anche bene, ma non mi si dica che dal punto di vista mediatico il femminile ha avuto qualcosa in più», così Mario Minervino, organizzatore del Trofeo Binda di Cittiglio) ma correre il Giro Rosa a luglio, il Tour of Britain a maggio (con i colleghi maschi che gareggiano a settembre), il recente Tour de San Luis che ha anticipato di una settimana la competizione maschile, sono autogol clamorosi.

Non si tratta degli stessi organizzatori, questo è (anche) il punto. Ora, perché non creare un circuito, diciamo un World Tour sensato (senza sovrapposizioni o buchi di mesi tra Qatar ed altre corse, per capirci), in cui ogni gara maschile è preceduta da quella femminile? Michele Acquarone, ex Direttore Generale di RCS Sport, ha dichiarato di recente che per il 2015 o 2016 lui ed il suo staff stavano valutando i costi per una Sanremo femminile (la ex Varazze-Sanremo, o Primavera Rosa, disputatasi dal 1999 al 2005). Tracey Gaudrey, australiana, ad oggi a capo della Commissione femminile Uci creata da Brian Cookson, ventilava l'ipotesi di avere un Tour Down Under femminile.

Fiandre, Freccia, Plouay hanno la versione femminile che anticipa i maschi: perché non vedere Vos e colleghe districarsi sul Poggio, sulle pietre della Roubaix, sulle côtes dell'Amstel e della Liegi? Un calendario World Tour, diciamo, con altri calendari continentali, purché sensati: basta vedere Europei in concomitanza del Giro Rosa! O Gand-Wevelgem in concomitanza del Trofeo Binda, il Lotto Tour che fa concorrenza a Plouay, Thüringen Rundfahrt che inizia un minuto dopo la fine del Giro Rosa, con atlete e squadre (che non hanno 30 elementi) destinate a ricorrere al metodo Copperfield per correre entrambe le manifestazioni.

Naturalmente queste gare, questi circuiti, dovranno essere trasmesse, lo spettatore medio invogliato a seguire le ragazze, imparare i loro nomi (suvvia, mica tutti...), riconoscerle. Un po' come succede per chi segue il tennis, che distingue Nadal da Murray, le sorelle Williams da Maria Sharapova. O nello sci.

Di conseguenza, gli investitori dovranno essere invogliati ad entrare in un mondo dove per la maggior parte mette i soldi l'appassionato, lo sponsor amico. Ci piacerebbe vedere, inoltre, un'uguaglianza nei premi: nel 2013 Dani Moreno, vincitore della Freccia Vallone, ha intascato 16mila Euro. Marianne Vos, anch'essa prima sul Muro di Huy, solo 1128 Euro. Altro da dire?

Le Tour Entier chiede anche che le distanze per le ragazze si avvicinino a quelle percorse dai professionisti. Il che non vuol dire abbattere sempre e costantemente i 130 km, ad oggi limite per ogni gara in linea del gentil sesso, ma valutare qualche eccezione. Così come sarebbero da valutare le giornate di una corsa a tappe, che nel caso di un futuro Tour de France potrebbero andare oltre la decina prevista dall'Unione Ciclistica Internazionale. Non per andare oltre, ma per non essere limitate a priori rispetto ai maschi.

Ci piacerebbe che le ragazze corressero alla pari con i colleghi, ma alla pari per davvero. Professioniste come loro, e non dilettanti (chi, tra le non top rider, può dire di campare di ciclismo senza una famiglia alle spalle o un corpo militare?), altrimenti resta un hobby e basta. Sarebbe fantastico sapere che tutte le squadre (e vale proprio per tutte, femminili e non) pagano regolarmente le proprie atlete, con un salario minimo garantito (nel 2014 siamo ancora a chiedere questo...), non solo per vitto e alloggio.

A proposito, le squadre: ad oggi abbiamo 32 squadre iscritte all'UCI. Di queste, 10 fanno attività sia nel maschile che nel femminile (Orica, Lotto, Astana-BePink, Alé-Cipollini-Galassia, Parkhotel Valkenburg, Rabo Liv, Giant-Shimano, RusVelo e Unitedhealthcare): per facilitare il solito spettatore medio, ogni squadra World Tour maschile dovrebbe avere il settore femminile. Ma non tanto per averlo. No, sarebbe un progetto da curare, come fanno Orica, Rabobank, Giant-Shimano, Astana-BePink e poche altre.

Per una buona scrematura, più qualità e meno quantità, sarebbe bene, inoltre, avere meno squadre in una cosiddetta prima divisione, con altre, in funzione di crescita delle ragazze, in una seconda divisione. Anche qui, non si tratterebbe di soffocare squadre piccole ma storiche, bensì di dar loro la giusta dimensione (che non sempre è il Fiandre o il Giro Rosa) in chiave futura.

È necessaria, da quel dì, una categoria di mezzo tra Élite e Juniores, quella delle Under 23: non è pensabile che una diciottenne che passa tra le big o ha mezzi (fisici ma pure economici) fuori dal comune, o sarà portata a smettere, comunque a faticare in modo spropositato. Ci sarà pure un motivo se il pur talentuoso Caleb Ewan (caso limite), classe '94, non corre già nell'Orica ma si unirà al gruppo solo dal prossimo agosto, in qualità di stagista, dopo aver affrontato alcune corse con i pro'.

In aggiunta, ci piacerebbe non vedere più atlete investite da un'auto durante una cronosquadre a El Salvador, o Campionesse come Marianne Vos fare numeri da circo per restare in sella dopo aver preso una buca piazzata proprio sul rettilineo d'arrivo, al Giro Rosa, tappa di Pontecagnano Faiano. E non più scioperi per la sicurezza. Mica perché siamo intolleranti verso il dissenso, ma perché gareggiare in tranquillità, pensando solo alle avversarie, non ha genere, vale per uomini e donne.

Le corse a tappe (quelle rimaste in vita): poche e raramente dure (l'Emakumeen Bira e qualche Giro d'Italia, mosche bianche). Nel 2013 il Giro Rosa ha proposto gli arrivi in salita al Beigua ed a San Domenico. A luglio molte del gruppo non avevano ancora (o mai) affrontato salite di 20 km. Abituarle, gradualmente, creando percorsi che possano favorire sia le velociste pure che le scattiste e le scalatrici dovrebbe essere una cosa normale. Corse a tappe anche dalle categorie minori, più variegate come percorsi, in modo da comprendere in pieno le doti di ciascuna.

La realtà, a fronte delle basilari richieste, vede corse saltate o incerte (la Route de France, corsa a tappe più importante della Francia, è in difficoltà economiche), atlete che dopo un anno o due tra le Élite smettono (e per ciò che riguarda l'Italia, la scuola non facilita certo l'attività di chi nello sport eccelle).

Per non parlare dell'Italia, che avrà pure uno dei movimenti più in salute del Mondo ma non lo tutela troppo. Solo a guardare il calendario, nel 2013 si sono corse 5 gare internazionali nello stivale, nel 2014 saranno 4 (5 con il Giro della Toscana, che però è ancora contrassegnato dal doppio asterisco indicante "in attesa di conferma da parte dell'UCI". Anche a 5 non c'è da essere così felici). Eppure per la Federazione basterà una medaglietta al Mondiale di Ponferrada per esultare.

Abbiamo sei squadre UCI di cui solo un paio realmente costanti, se non vincenti, durante l'anno. Le nostre migliori atlete scappano in team esteri. Alcuni nomi: Bronzini alla britannica Wiggle Honda, Longo Borghini in Norvegia alla Hitec, Ratto alla Estado de México-Faren (che è però per metà italiana), Scandolara alla Orica-AIS, la crossista Elena Valentini, che corre anche su strada, alla slovena BTC City Ljubljana. Chi non può andare altrove, o continua (e magari poi smette), o mette una pietra sopra ai suoi sogni (in compenso si iscrive all'università, trova un lavoro, si costruisce un futuro...).

Tornando alla partenza, cioè alla fine, La Course ed il Tour de France femminile che sarà (se sarà) sono importanti anche per questo: per sconfiggere e spazzare via il dilettantismo tentacolare (ma non presente proprio ovunque, per fortuna) del ciclismo femminile, che deve diventare un lavoro vero e proprio per le protagoniste.

È un treno, quello che partirà il 27 luglio, che non si potrà perdere, assolutamente. Il treno della svolta, quello che può, anzi deve permettere a chi sta a casa di riconoscere, tra una decina d'anni (ma anche meno, si auspica), la maglia gialla femminile. E di associarla a quella maschile. Altrimenti resteremo a cantarcela e suonarcela da soli, atlete ed appassionati di femminile, isolati come nel bel mezzo del deserto in Qatar.

Francesco Sulas

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