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Mondiale 2013: Corsa da duri, vince Rui Costa - Sconfitti Rodríguez e Valverde, Nibali dà spettacolo e chiude al quarto posto

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Il portoghese Rui Costa batte in volata Joaquim Rodríguez ed è Campione del Mondo © Bettiniphoto

Ci si avvicinava con mille dubbi, mille titubanze, mille cattivi pensieri, a questo Mondiale casalingo: l'Italia che in altri tempi dominava è oggi reduce da annate negative, prive di risultati ma anche di prestazioni convincenti. Serviva un grande orgoglio per riannodare il filo del rapporto coi tifosi, oltre a grandi gambe nei protagonisti in azzurro, e possiamo dire di aver avuto entrambe le cose. La squadra messa in campo dal ct Bettini è stata veramente all'altezza della situazione, ha posto - dopo una gara difficilissima (quella durata di più e con la media più bassa da Sallanches '80!) - il suo capitano nelle condizioni di giocarsi una medaglia, ovvero di centrare l'obiettivo massimo per questa spedizione, visto che era difficile sperare che Vincenzo Nibali (è lui il capitano in questione) potesse imporsi al cospetto di tanta nobiltà delle corse di un giorno.

O meglio, il siciliano avrebbe anche potuto farcela, ma tutto sarebbe dovuto andare nella maniera più ideale possibile. Così, ahilui, non è stato, è mancata anche un po' di fortuna, non solo il podio, sfuggito davvero di un niente. Rimane quindi questo suo quarto posto, ma rimane anche la prestazione enorme di Vincenzo in quegli ultimi due giri, fatti a tutta prima per rimontare i migliori dopo una caduta, poi per andare senza più freni all'attacco. Per un corridore che in gennaio già duellava con qualche successo in Argentina, e in febbraio lo faceva in Oman, e in marzo vinceva una memorabile Tirreno, e in maggio faceva lo stesso al Giro dopo aver dato saggi di sé in aprile al Trentino; e che, dopo un'acconcia pausa, tra agosto e settembre si è giocato una Vuelta (chiusa al secondo posto), ecco, per un corridore del genere, arrivare alle soglie di ottobre e risultare il migliore o quasi al Mondiale, mentre atleti della sua caratura (almeno si presume che lo siano) tornano a casa stasera con una magra figura nel taschino, significa essere in ogni caso un numero uno. Forse il più forte del mondo, tutto sommato.

Anche se oggi il risultato dice altro, dice che il più forte è stato Rui Alberto Faria da Costa, o più semplicemente Rui Costa, 27enne che indosserà per un anno la maglia iridata, la prima conquistata da un corridore portoghese, non certo l'ultimo arrivato (ha vinto due tappe al Tour, quest'anno, oltre al Giro di Svizzera), ma di sicuro un outsider rispetto agli atleti che con lui si sono giocati la vittoria nel finale: ovvero Nibali e un paio di spagnoli, vittime della più bruciante sconfitta dell'anno, secondo e terzo (Rodríguez e Valverde), quando avrebbero dovuto vincere in carrozza questo titolo.

Un Mondiale a tratti bellissimo (ma lo diciamo da italiani), corso interamente sotto la pioggia e con alcuni momenti anche soporiferi, ma che alla fine ha premiato corridori di fondo, uomini da grande giro, scalatori da Alpi o Pirenei, e ha malamente respinto gli atleti da classiche, che si sono sì piazzati, ma dal sesto posto in giù, lasciando il proscenio a chi aveva già duellato tra Giro, Tour e Vuelta. Ah sì, la Vuelta: era dal 2000 che non vinceva il Mondiale un corridore non uscito dalla corsa spagnola. Rui Costa ha infranto questo piccolo tabù, dimostrandosi quindi anche più forte di quanto magari non pensasse qualcuno (e i suoi limiti sono ancora da scoprire): la Lampre - che l'ha ingaggiato evidentemente con grande lungimiranza - potrà esplorarli insieme a lui per tutto il 2014.

Piove a dirotto, parte la fuga, Cavendish si spende
Dopo una settimana di bel tempo sulla Toscana, Giove Pluvio ha atteso proprio la prova più importante per dar luogo alle sue manie di protagonismo: pioggia battente, a tratti diluvio, e nessuna speranza per possibili schiarite nel corso della giornata. In quello che sembrava più un monsone (non faceva per niente freddo) che un clima da dolci colline, Bartosz Huzarski e Rafaa Chtioui hanno comunque deciso di mettersi subito le gambe in spalla, muovendosi dopo 5 km e chiamando la reazione di altri tre uomini, Jan Barta, Matthias Brändle e Yonder Godoy, rientrati intorno al km 10 a formare un quintetto che avrebbe caratterizzato, con la sua azione, gran parte della corsa. Un polacco e un tunisino, e poi un ceco, un austriaco e un venezuelano (il più giovane del gruppo coi suoi 20 anni).

In gruppo, a guidare le operazioni, la Gran Bretagna di un ottimo Cavendish: desideroso di ripagare il gran lavoro della sua nazionale due anni fa a Copenhagen, Mark ha tirato per gran parte dei primi 100 km, quelli in linea prima dell'ingresso nel circuito di Fiesole (avesse saputo che quel lavoro sarebbe stato del tutto superfluo, visto l'esito della prova dei suoi capitani, magari avrebbe desistito); per il resto, a parte tenere il conto del distacco (arrivato a un massimo di 9' alle porte di Firenze, a 170 km dal traguardo), c'era da annotare giusto qualche caduta. Una delle quali ha coinvolto Ivan Santaromita (e di striscio pure Nibali, che non è andato giù ma che ha dovuto cambiare bici, essendosi danneggiata in un tamponamento quella con cui era partito). Ma il campione nazionale italiano è rientrato in fretta per mettersi a disposizione della squadra.

Nell'attraversamento del centro di Firenze, tra curve e fondo stradale in lastricato, le cadute hanno iniziato a moltiplicarsi, e addirittura il gruppo si è frazionato già nei pressi del Duomo, prima ancora di approdare al circuito: e tra quelli immediatamente attardati, seppur di pochi secondi, si sono segnalati subito Wiggins e Porte, mentre Contador è scivolato nei pressi del rifornimento prima della prima scalata alla salita di Fiesole. Nonostante i problemi di Bradley, la Gran Bretagna ha continuato a fare il ritmo, o meglio a tenere un'andatura controllata per permettere a Wiggo di rientrare, cosa puntualmente avvenuta in maniera abbastanza rapida (mentre Cavendish è subito rimbalzato appena la strada s'è messa all'insù). In cima, a 160 km dalla conclusione, i cinque fuggitivi conservavano 7' di vantaggio, e la corsa stava per entrare in una nuova, movimentatissima fase.

L'Italia si muove per terremotare la corsa. E ci riesce
In discesa da Fiesole il Mondiale è di colpo entrato in una dimensione tutta nuova, parzialmente inattesa, e di sicuro molto molto intrigante per i colori azzurri. Ci si attendeva che i nostri facessero corsa dura per favorire le chance del capitano Nibali, ma probabilmente non ci si aspettava che ciò potesse avvenire a tanta distanza dal traguardo. Un atto coraggioso ma ben calcolato (in fondo si sono spesi nell'occasione un paio di uomini, non di più) ha portato tutti e 9 gli azzurri in testa al gruppo, con Vanotti e Santaromita ad alternarsi alla guida. Il risultato di questa frustrata dell'Italia in discesa è stato che il gruppo si è dapprima allungato, per poi iniziare a frazionarsi (con una cinquantina di uomini rimasti nella prima parte) e ad essere flagellato da un'impressionante serie di cadute, che hanno contribuito a rallentare pure quelli che non andavano giù.

Un conto è affrontare una discesa insidiosa e bagnata ad andatura ridotta, un conto è doversi scapicollare per star dietro alle accelerazioni di chi è davanti. Chi è in testa al gruppo, potendo pennellare le traiettorie senza essere influenzato, incontra meno problemi di chi è dietro e deve tenere cento occhi aperti per rimanere in piedi. In tal senso, l'azione dell'Italia è stata un sopraffino modo di fare del vero e proprio terrorismo psicologico nei confronti degli avversari, chiamati a un surplus di stress per non cadere e per rimanere in scia di chi era al comando.

Tra quelli caduti nel frangente, Horner, Impey e Peter Velits; dopo lo strappo di Via Salviati, altri ruzzoloni, per Roche e Breschel (addio sogni per entrambi), e poi pure per Sagan. Al passaggio si poteva fare il punto su un tremendo sparpaglìo: spazzati via gli Usa (Van Garderen, Phinney e Talansky attardati, Horner ritirato), messa in croce la Colombia (in ritardo Atapuma, Anacona, Rubiano e soprattutto Henao e Urán), causati problemi alla Spagna (Contador e Moreno dietro), già messi fuori causa uomini come Wiggins, Porte, Kwiatkowski, Ten Dam, e lasciati a diversi secondi di distanza Van Avermaet, Bakelants, Boasson Hagen, Evans e Rui Costa. Un terremoto, in pratica, e non si era che al primo dei dieci giri del circuito.

Al secondo giro, stesso copione: se sulla salita di Fiesole in tanti (quelli rimasti a pochi secondi di distacco) sono riusciti a rientrare sul gruppo sempre tirato da Vanotti e Santaromita, in discesa l'azione degli azzurri è proseguita implacabile (Sagan è rientrato proprio in questo frangente). Ma stavolta è stata la picchiata di Via Salviati a fare i danni peggiori, visto che proprio lì sono caduti malamente Evans, Dan Martin, Barguil, Tanner, Acevedo, Elmiger, Zaugg (tutti usciti dai giochi) e anche Bakelants e Diego Ulissi (mentre Pozzato in quei chilometri ha forato). Di nuovo, al passaggio (i 5 fuggitivi del mattino conservavano poco più di 4'), il gruppo è transitato frantumato in tanti pezzetti, il più importante dei quali contava poco più di 50 unità.

L'Italia fa il bello e il cattivo tempo, ma poi la corsa si addormenta
Per attendere il rientro di Pozzato e Ulissi, a cui il ct Bettini non voleva rinunciare quando al traguardo mancavano ancora 130 km, l'Italia ha rallentato sulla salita di Fiesole, permettendo così che i due staccati si riportassero in gruppo (con l'aiuto di un Luca Paolini esemplare). Ancora una volta, le cadute in discesa hanno seminato il panico nelle file "nemiche", e si è arrivati in fondo a Fiesole con un gruppetto di una ventina di unità, delle quali 9 vestivano una maglia azzurra.

La salita di Via Salviati ha proposto ulteriore selezione, tanto che in cima con Nibali, Paolini, Scarponi, Ulissi, Pozzato e Nocentini (gli altri tre erano più indietro) si trovavano solo Mollema con Kelderman, Cancellara con Rast, Gilbert con Van Avermaet e gli isolati Fuglsang, Grivko e Betancur. Gli spagnoli? Tutti dietro; alcuni degli uomini più temuti, Sagan, Rui Costa, Boasson Hagen, Stybar? Dietro. I campioni del Tour Froome e Quintana? Ancora più dietro.

Ci si è dovuto mettere di buon impegno Contador, per tirare il gruppo Spagna-Sagan a un faticoso rientro (finalizzato appena dopo il quarto passaggio dal traguardo), mentre Froome e Quintana si accingevano a tirare i remi in barca, e si segnalavano i ritiri di Martin (inevitabile), Santaromita (esaurito il proprio compito e alle prese coi postumi della caduta) e Samuel Sánchez (a sua volta andato per terra e fermatosi per un dolore alla gamba).

A questo punto, però, l'Italia - visto che anche Vanotti e Visconti non attraversavano un momento felicissimo - ha deciso di rallentare un po', lasciando che fosse l'Olanda a tirare a sprazzi, e permettendo a tanti corridori staccati in precedenza di rientrare. Questa fase interlocutoria è andata avanti anche per tutto il quinto giro e per metà del sesto, e ha peraltro permesso ai fuggitivi (che avevano perso Chtioui al quarto passaggio su Via Salviati, e che erano stati avvicinati sensibilmente dal gruppo, arrivato fino a 1'37" da loro), di riguadagnare terreno.

Sulla quinta ascesa a Fiesole, tra i 4 superstiti al comando, anche Brändle e Godoy si sono staccati, lasciando così in testa i due NetApp Barta e Huzarski, bravi a riportare il margine sul gruppo a 3'25" al sesto passaggio.

La resistenza di Huzarski, la bella azione di Visconti
Al sesto giro, nella discesa di Fiesole l'Italia è tornata a menare, con Paolini a rimettere in fila indiana il gruppo (nell'occasione è caduto Kolobnev); ma è stato in cima a Via Salviati che uno scatto di Burghardt ha aperto una nuova fase del Mondiale. L'azione del tedesco ha promosso un contropiede di Preidler e Kelderman (che erano andati appresso a Burghardt per poi avvantaggiarsi), i quali hanno guadagnato rapidamente una quarantina di secondi sul gruppo (che constava sempre di circa 50 unità). Con Vanotti, Nocentini e Ulissi staccati e prossimi al ritiro, e coi soli Pozzato, Scarponi, Visconti e Paolini rimasti intorno a Nibali, la situazione per l'Italia sembrava un po' meno brillante rispetto a un paio di giri prima, anche perché intanto Belgio, Spagna e Svizzera si erano ben riorganizzate, e la Francia si era pure tolta lo sfizio di sganciare un suo uomo, Gautier, sulle prime rampe di Fiesole, nel settimo giro.

Era chiaro che qualcosa andava fatto, prima di ritrovarsi a dover inseguire una fuga di seconde linee avversarie, dato che il fermento in gruppo cresceva. In cima alla salita di Fiesole il belga Pauwels ha fatto una trenatina che ha isolato un drappello di dieci uomini, tra i quali Scarponi è stato attento a inserirsi (così come Voeckler, Nordhaug, Henao, Stetina e Rast), ma il resto del gruppo ha chiuso prima dello scollinamento. A questo punto, piuttosto che doversi fare in 4 per inseguire ogni eventuale scatto, gli azzurri hanno di nuovo deciso di colpire per primi (per colpire due volte, stando a quel vecchio adagio guerresco).

In discesa è toccato a Visconti di avvantaggiarsi per riportarsi su Gautier (che stazionava ancora con una decina di secondi sul gruppo). La nuova coppia ha spinto bene anche su Via Salviati per avvicinare le altre due coppie che in quel momento erano davanti, ovvero Huzarski-Barta e Preidler-Kelderman, divisi da 25" mentre Visconti-Gautier inseguivano a 42" dai primi e avevano messo insieme già 45" sul gruppo, nel quale al momento nessuno si prendeva l'incarico di tirare.

Poco dopo l'ottavo passaggio (quando ormai mancavano solo 50 km alla conclusione) l'italiano e il francese hanno chiuso sull'austriaco e l'olandese, e sulla salita di Fiesole Visconti ha rotto gli indugi ed è partito secco, lasciando suil posto gli altri tre, e raggiungendo e superando un Barta ormai privo di energie. Huzarski, veramente encomiabile, ha continuato tutto solo al comando (era ormai a 220 km di fuga, il polacco), e solo dopo lo strappo di Via Salviati è stato raggiunto da Visconti, nel momento in cui il margine del siciliano ha toccato il suo massimo: 1'15" sul gruppo comprendente gli altri italiani rimasti in gara e tutti i big.

Il dramma (sportivo) irrompe in casa Italia: la caduta di Nibali, Paolini e Scarponi
Proprio mentre le cose si mettevano abbastanza bene per le speranze italiane, l'ottava discesa da Via Salviati ha rappresentato un momento topico di devastanti palpitazioni. Su una curva a sinistra, a causa del fondo sempre bagnato e scivoloso, ce ne sono caduti tre in un colpo solo: prima Nibali, poi Paolini e Scarponi (con l'ucraino Grivko). Cosa poteva esserci, di peggio, per la tattica di Bettini? In un colpo solo rischiavamo di perdere il capitano, il vicecapitano e il regista in corsa. Rimanevano in piedi l'uomo in fuga (che però quanto ancora avrebbe resistito là davanti?), e un Pozzato tutto da valutare nel finale.

Al colpo della caduta, si è subito aggiunto quello della notizia del ritiro di Paolini, grave perdita per la squadra, visto che proprio Luca era deputato ad attaccare sulla successiva salita di Fiesole. Fortunatamente Scarponi, rapidissimo a rimettersi in sella, si è subito accodato al gruppo dei migliori, tirato nel frangente dai belgi (e da uno scatenato Vansummeren). Per Nibali, invece, sembrava che non ci fossero più speranze.

Ma mai dare per finito Vincenzo, corridore dalla grande tenacia, che prima di arrendersi muore in bici. Sorretto da una condizione che - in quest'azione - si è dimostrata stratosferica, e aiutato certo dalle scie delle ammiraglie e da un breve intervento del meccanico Archetti (si sa, ti sistemo il freno in corsa e tu intanto stai attaccato alla macchina...), ma soprattutto da una grande determinazione, il siciliano è riuscito a colmare un minuto di gap (accumulatosi dopo il ruzzolone) nel breve volgere di 5 km.

Un'azione da vero fenomeno, che ha ristabilito un minimo di giustizia sportiva (insomma, non era bello che l'Italia, tra le protagoniste in gara, si ritrovasse così di colpo senza punte), e che l'ha detta lunga sulla rabbia che animava Nibali dopo il malaugurato incidente. Certo, per annullare il distacco il capitano azzurro ha dovuto spendere molte energie, ma la sua volontà di riportarsi subito in testa al gruppo una volta rientrato ha riempito il cuore dei suoi tanti tifosi: c'erano ancora speranze di andare a giocarsi questo Mondiale.

L'ultimo giro e la selezione definitiva
Sulla salita di Fiesole - l'avremmo saputo dopo la corsa - i progetti erano che l'Italia attaccasse sia con Paolini che con Scarponi. Nulla di tutto questo è potuto accadere, a causa della caduta e della necessità di non mettere in croce Nibali dopo il suo sforzo per rientrare in gruppo. Così Visconti, la cui azione era ormai in calo, ha provato a resistere più che ha potuto, ma è stato ripreso (con Huzarski, eroe del giorno) ancor prima dello scollinamento. Sullo strappo di Via Salviati è stato il francese Bardet a tentare una sortita, prontamente rintuzzata da Scarponi, dopodiché non è successo più nulla di rilevante fino all'ultimo passaggio.

Anzi no, una cosa è accaduta: lo sloveno Polanc, probabilmente convinto che quello fosse l'ultimo giro, è scattato all'ultimo chilometro, finendosi senza motivo per resistere al rientro del gruppo, che ovviamente (mancando ancora una tornata), ha lasciato qualche metro al corridore della Lampre. Solo quando ha sentito la campana che annunciava l'inizio del giro conclusivo, il buon Polanc ha capito che stava per fare una figura barbina in mondovisione (avesse mai esultato...), sicché si è accontentato di transitare in testa al passaggio prima di venire riassorbito dal plotone.

Plotone che era formato da una sessantina di unità, e ciò faceva venire i brividi ai puristi del ciclismo d'antan, al pensiero che un Mondiale dal percorso tutto sommato duro (una salita lunga e più pedalabile, una corta e durissima), e disputato in condizioni ambientali difficilissime, potesse vivere un epilogo così affollato. Tanto affollato che Degenkolb, bravo a resistere fin lì, diventava in automatico uno spauracchio pronto a contendere ai vari Sagan, Gilbert, Boasson Hagen (se non a Cancellara, di cui era prevedibile prima o poi un allungo) il titolo iridato.

Ma rimanevano ancora due salite per provare a rimescolare le carte. L'Italia ha subito interpretato bene la situazione, mettendo Visconti a dare - con le energie rimaste - un'ultima trenata verso Fiesole, prima che fosse la Danimarca (con Chris Sørensen e Fuglsang) a tirare per un breve tratto. Sul tornante che apriva il settore più duro della salita, a un chilometro e mezzo dalla vetta e a 12 dal traguardo, è stato Scarponi a dare fuoco alle polveri.

Come se fosse di colpo saltato il tappo, la corsa ha vissuto una rapidissima e profondissima selezione: Fuglsang non è riuscito a tenere il marchigiano, sul quale si sono invece portati subito Joaquim Rodríguez (fin lì nascostosi benissimo), Rui Costa e Urán, e quindi anche Nibali e Valverde, con Nordhaug e Simon Clarke poco distanti, e alle loro spalle Gilbert primo dei finisseur, ma non certo brillante come quelli che gli stavano scattando davanti (non parliamo quindi dei Sagan e dei Cancellara, parecchio ingolfati sul cambio di ritmo).

Prendendo l'abbrivio sull'azione di Scarponi, Nibali ha rilanciato, seguito da JRO; Rui Costa ha chiuso tirando dentro Urán e Valverde, e tutti gli altri (a partire proprio da Scarponi) hanno perso qualche metro. La corsa era ormai infiammata, e Rodríguez ha proposto il suo, di contropiede, una rasoiata a cui ha saputo rispondere solo Nibali: il siciliano e il catalano sono transitati allo scollinamento con 5" su Urán, Valverde e Rui Costa, 16" su Scarponi e Nordhaug, 20" su Clarke, 22" su Mollema; solo a 24" è passato Gilbert, più indietro tutti gli altri favoriti. Anche Pozzato, nell'occasione, non è riuscito a tenere il ritmo dei migliori, ma ormai la corsa andava ad essere contesa tra quelli che si trovavano davanti, per la precisione tra quelli che erano nelle prime 5 posizioni: altri non ne sarebbero più rientrati.

Lo spunto di JRO, la caduta di Urán, l'ennesimo inseguimento di Nibali
In discesa, a 9 km dalla fine, il terzetto con Rui, Urán e Valverde sentiva già l'odore di Nibali e Rodríguez, poco distanti e prossimi ad essere raggiunti. Su una semicurva a sinistra, però, Vincenzo ha sbagliato (seppur di poco, ma tanto è bastato) la traiettoria; su quell'errore, Rodríguez ha guadagnato 20 metri, e, giacché c'era, ha proseguito nella propria azione, mettendo secondi tra sé e gli altri.

Contemporaneamente a questo allungo, però, Urán - forse distratto dall'errore di Nibali, che stava tenendo come suo riferimento - ha proprio sbracato, finendo largo, perdendo il controllo della bici e schiantandosi sul costone: addio sogni di medaglie per il colombiano.

Per Nibali, non poteva esserci defezione peggiore, perché tra tutti forse Rigoberto sarebbe stato quello più propenso a collaborare per inseguire Purito, che intanto aveva guadagnato una decina di secondi. Invece Vincenzo si è ritrovato a dover fare praticamente tutto da sé, visto che Valverde ovviamente non collaborava (aveva il compagno davanti), e Rui Costa faceva altrettanto, accampando legittimi impedimenti dettati dal fatto di essere al gancio. Ancora una volta, come aveva fatto dopo la caduta, Nibali non si è scoraggiato.

Arrivato ai piedi di Via Salviati con 11" di ritardo da JRO, Vincenzo ha fatto la salitella a tutta, recuperando ben 7" su quello che doveva essere un terreno più favorevole al catalano: in cima, Rodríguez conservava la miseria di 4", ma Nibali a tutta prometteva di annullare presto quel gap, mentre Valverde continuava a stare accucciato alla sua ruota, e Rui Costa faceva un mezzo elastico, tanto era in difficoltà. A 4 km dal traguardo, nella discesa e prima dell'ultimo strappetto del circuito (quello, quasi trascurabile, di Via Trento), il ricongiungimento è avvenuto: e seppur in inferiorità numerica rispetto agli spagnoli, il siciliano rimetteva la palla al centro, pronto a tentare di portare a casa in zona Cesarini il risultato grosso.

Un nuovo attacco di Purito, il contropiede di Rui Costa, il disastro di Valverde
Rodríguez, ad ogni buon conto, sentiva di avere una gamba troppo buona per smettere di provarci. E per ben due volte ancora ha piazzato degli allunghi: ai 3 km, uno scattino appena accennato, poi sulla salitella di Via Trento un attacco ben più convinto. Nibali, ormai allo stremo, si è ancora una volta incaricato di andare a chiudere, e ci è pure quasi riuscito, malgrado la zavorra dei due Movistar che si portava alla ruota. Solo che sul più bello son mancate le gambe, oltre alla collaborazione dei due colleghi.

E allora, ai 2 km, quei 20 metri di vantaggio che rimanevano a Purito non c'è stato verso di colmarli. Con spietatezza pari alla lucidità dimostrata, Rui Costa ai 1800 metri, su una doppia curva a sinistra, è passato infine a guidare il terzetto, pennellando bene le svolte e facendosi fagiano dopo non aver potuto essere aquila. Il portoghese ha preso un po' di spazio, e a quel punto - visto che c'era uno spagnolo al comando - sarebbe toccato a Valverde andare a chiudere, per proteggere l'azione del connazionale.

Purtroppo per lui (e per il compagno), Alejandro è stato di tutt'altro avviso: ha preferito rimanere alla ruota dell'esausto Nibali, forse sperando (come da sue consolidate abitudini in corsa) che fosse ancora quest'ultimo a togliergli le castagne dal fuoco andando a chiudere sul lusitano. E forse non dolendosi nemmeno troppo all'idea che Rui Costa potesse raggiungere Rodríguez e togliergli la vittoria: si sa che in casa spagnola le rivalità sono spesso letali per i progetti di vittoria (chiedere lumi a Freire, che dopo il Mondiale di Valkenburg se ne andò sbattendo la porta).

Proprio così è andata: Rui Costa, capito che ormai da dietro non l'avrebbero più inseguito, ha messo tutto se stesso nell'inseguimento a Purito: a un chilometro e mezzo dalla fine, la sua poteva sembrare quasi un'impresa impossibile, ma 500 metri più avanti - con JRO sempre più in affanno - l'ipotesi dell'aggancio prendeva sempre più corpo, fino a verificarsi ai 700 metri, forse qualcosa meno.

Quando Rodríguez ha visto che Rui Costa gli si poneva alla ruota, si è voltato, e, già presagendo la sconfitta, ha per un attimo smesso di pedalare e ha riempito di insulti l'avversario (della serie: "non hai tirato fino ad ora, e vieni qui a togliermi il meritato successo?", il concetto sarà stato qualcosa di simile), sicuramente anche per innervosirlo in vista della preziosissima volata a due. Il portoghese, con invidiabile sangue freddo, ha fatto un cenno a Joaquim, "guarda avanti e pensa a sprintare e non mi rompere le scatole".

La volata ha avuto storia solo perché Rodríguez è rimasto aggrappato fin quasi alla linea d'arrivo al sogno iridato: ma in realtà si è capito subito che Rui Costa non avrebbe avuto pietà, e infatti il portoghese, partendo da dietro ai 150 metri, ha preso il comando della situazione con sicurezza, e ha resistito pure a un estremo tentativo di riavvicinamento di Purito, ai 50 metri, prima che il catalano, finito, smettesse di pedalare ai -20, predisponendosi ad andare a occupare il più brutto gradino del podio, mentre l'altro esibiva tutta la propria incredulità di fronte al fatto, sicuramente enorme, di essere il primo portoghese della storia a vincere il Mondiale di ciclismo.

A 16" dai primi, Valverde andava a prendersi quel bronzo che s'intonava perfettamente alla sua faccia, completando la clamorosa sconfitta spagnola davanti a un Nibali scazzatissimo per quel quarto posto che sicuramente gli va stretto, in rapporto a quanto fatto vedere oggi a Firenze. A 31" Grivko ha anticipato di poco un drappello (passato a 34") regolato per il sesto posto da Sagan su Clarke, Iglinskiy, Gilbert, Cancellara (tutti i favoriti più attesi, insomma), e ancora Mollema, Nordhaug, Moreno, Geschke, Henao e Scarponi in coda (16esimo); 17esimo e primo del successivo plotoncino, Pozzato. L'unico altro azzurro al traguardo è stato Giovanni Visconti, 51esimo a 9'15".

Il podio, uno dei più lacrimosi di sempre, vedeva il pianto di gioia di Rui Costa fare il paio con quello disperato del delusissimo Rodríguez, mentre Valvede, conscio di averla fatta grossa, assumeva l'unico atteggiamento possibile al momento, quello della sfinge. I tifosi di casa, in ogni caso, hanno potuto sfollare contenti, non tanto per il risultato (la medaglia di legno non fa mai piacere), quanto per il modo gagliardo con cui l'Italia ha gareggiato oggi, attaccando, provando a inventarsi la corsa, e fronteggiando al meglio possibile anche i momenti avversi. Possiamo dire di aver avuto una grande squadra per un grande capitano: sfortunatamente, non sempre basta per vincere.

Marco Grassi

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