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Doping&Antidoping: A che gioco gioca la Gazzetta? - Chiasso da bar e ciclismo sempre all'indice

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Uno scorcio della Gazzetta dello Sport di mercoledì 3 luglio 2013Il lettore occasionale, colui che segue con un occhio solo le vicende dello sport (o in particolare del ciclismo), e che non conosce bene i retroscena di determinate situazioni, leggendo in questo periodo certa stampa sarebbe portato a pensare che il ciclismo stia vivendo una fase in cui ogni giorno vien fuori una positività all'antidoping. Si parla (si scrive) talmente tanto sull'argomento, che vien da dare per scontato che ci troviamo in una nuova epoca di doping profuso a piene mani (o a piene siringhe) tra i ciclisti.

Non parliamo della nuova mirabolante rubrica del Fatto Quotidiano, tenuta da quella vecchia pellaccia di Leonardo Coen che parla di "ciclismo" senza spendere non diciamo una riga, ma nemmeno una parola, sul Tour pedalato (e indugiando invece in definizioni insensate e immotivate come "berluschini del pedale", in riferimento ai corridori colpevoli di aver solo chiesto - e pure con troppa morigeratezza, a nostro avviso - di non essere resi carne da macello mediatico, in relazione alle "attese" rivelazioni del senato francese sui dopati del 1998).

Parliamo invece della Gazzetta dello Sport di ieri, mercoledì 3 luglio, leggendo la quale la sensazione di cui parlavamo sopra, ovvero che siamo in pieno boom del doping, sarebbe stata fortemente suffragata. Prendi il giornale, dai uno sguardo alla prima pagina e ti rendi conto che, a fronte di imprescindibili richiami sull'amore finito tra Barbara e Pato (lui l'ha annunciato su Twitter!), o sulla festa che la Pellegrini sta organizzando per i suoi 25 anni il prossimo 5 agosto (inviterà capitan Del Piero!), o ancora sulla decisione di Venditti di non dare più il permesso all'esecuzione di Grazie Roma all'Olimpico (ritira l'inno oppure no?), ebbene, in mezzo a cotante fondamentali notizie, nemmeno uno strapuntino sul Tour, di cui pure ci sarebbe stato da segnalare il primo vero scontro tra i big, nella cronosquadre del giorno prima.

Ti parte in automatico la solidarietà nei confronti dei giornalisti della redazione ciclistica, "e che cavolo, seguono - con ben due inviati! - l'evento ciclistico principale dell'anno, e nemmeno uno spazietto in prima pagina"; ma poi, scorri il giornale fino a pagina 22, vedi come è stato trattato il tema della cronosquadre, e cambi subito idea, "tutto sommato meglio che non l'abbiano richiamato in prima pagina...".

Due le pagine dedicate al ciclismo: grande impressione deve aver fatto la media di 57.8 fatta segnare dalla Orica vincitrice (ma anche dalla Omega, prima delle sconfitte), visto che il titolo centrale è "Più veloci di uno scooter!", e nei vari sottotitoli si fa riferimento a "Cronosquadre da paura", "quasi 58 orari di media", "la più rapida di sempre nei grandi giri". Nella seconda delle due pagine, poi, spalla quasi interamente dedicata alla questione dei positivi del 1998 (cialtronata di cui si è parlato sin troppo sui vari media), ma va bene, lì si insegue la cronaca spicciola (i senatori non riveleranno più i nomi dei coinvolti il 18 luglio, a Tour in corso, ma aspetteranno - bontà loro - il 24).

Il pezzo portante, a firma Pastonesi, non ci risparmia il consueto riferimento all'"ombra maledetta": «Nel giorno dell'apoteosi, c'è un'ombra. La solita, la vecchia, la maledetta: quella del doping. Riguarda Matthew White, uno dei direttori sportivi della Orica, assunto dopo essere stato licenziato, proprio per doping, dalla Garmin. White aveva corso per la US Postal, una delle squadre di Lance Armstrong: confessò di essersi dopato, collaborò con la giustizia, venne squalificato, ma beneficiò di una riduzione. Adesso l'Agenzia antidoping australiana lo vuole riascoltare. White preferisce parlare d'altro: «Continuiamo a migliorare, a progredire, a sviluppare».

Ma il vero capolavoro, rilanciato poi anche altrove in rete, è il taglio alto della prima delle due pagine: un pezzo venduto come "punto tecnico" e intitolato "Meglio della Discovery e della super Csc del 2006. Donati: «Dati preoccupanti»". Qui, francamente, sale il nervoso. L'estensore dell'articolo, Claudio Ghisalberti, è colpito dal fatto che le prime quattro classificate a Nizza «siano state più veloci della Discovery Channel 2005 (seppure in quell'anno i km erano 67)». Cioè, in altre parole: questi qui vanno più forte di formazioni note per la loro sulfureità (per usare un concetto caro a Eugenio Capodacqua), quindi poniamoci delle domande. Anche perché - ad esempio - «pure la Csc di Bjarne Riis, nel 2006, anno dell'Operación Puerto, andò più piano al Giro e alla Vuelta».

Il punto nodale della lunghezza della prova (quella del 2005 era lunga il doppio e ci stupiamo che l'altro giorno i migliori siano andati più forte?!?), viene liquidato così, tra parentesi, come se non fosse una questione importante, quando invece è addirittura decisiva. Quindi il buon Ghisalberti procede nell'interpellare vari esperti affinché analizzino e spieghino questo risultato nizzardo. Paolo Slongo, preparatore della Cannondale, parla correttamente del percorso decisamente veloce e dell'assenza di vento; Andrea Morelli del Centro Mapei parla di Orica e Omega come di squadre formate da passistoni adatti a questa prova; nemmeno Fabrizio Tacchino del Centro studi federale si stupisce, dato che - anche per far bene nel nuovo Mondiale per cronosquadre - molte formazioni ingaggiano specialisti e vanno alla ricerca della perfezione.

L'unico di parere opposto è il celebre Sandro Donati, ex dottore antidoping marginalizzato dal CONI di Pescante e di Petrucci, attualmente consulente della WADA. «Mi pare una vecchia storia, ma il ragionamento è semplice. I pro' gareggiano molto e hanno poco tempo per gli allenamenti, quindi è difficile sostenere che ci siano grossi progressi dal punto di vista metodologico. I materiali già da anni sono al top. Le altre risposte sono quindi preoccupanti. In base all'esperienza posso dire che c'è chi fa ancora ricorso a microdosi di epo, chi somma sostanze stimolanti, chi usa il gh e va sul sicuro perché non si trova ai controlli e chi fa ricorso alle gonadoreline che stimolano la produzione endogena del testosterone. Riconosco che molti corridori stiano lottando per uscire da questo vortice, ma in gruppo ci sono ancora troppi vecchi marpioni. Per ora non c'è ancora stata una netta linea di demarcazione col passato».

Naturalmente, a fronte di tre autorevoli pareri che non vedono stranezze nel risultato della Orica, nel titolo ci va l'unico che invece vede le streghe. Perché fa più notizia il parere di Donati, o semplicemente per un sensazionalismo di bassa lega che vuole richiamare maggiori attenzioni sull'articolo? Chiaramente un titolo del tenore di "Nessun problema, risultato ampiamente spiegabile" non avrebbe attratto lo stesso numero di lettori del "Dati preoccupanti".

E sì, perché - e qui facciamo un ulteriore passo - il lettore medio della Gazzetta è quello lì. Quello che capisce tutto sul calcio fino alla serie D, e poco o niente sugli altri sport. Quello che diventa grande esperto di scherma nella settimana olimpica, e allora lo vedi sdottorare sulla stoccata di fino della Di Francisca, ma poi magari non segue un mondiale di fioretto manco se lo paghi (in concomitanza ci sarà senz'altro un'imperdibile Solofra-Valdobbiadene di serie C di calcio).

È quello che leggi commentare i pezzi sul sito della Gazzetta con analisi che fanno cascare le braccia per grossolanità e ignoranza; ed è quello, ovviamente, che sa per certo che il ciclismo è lo sport dei dopati, e questa certezza non gli dev'essere scalfita in nessun modo (intanto però è bene aggiornarlo su ogni scorreggina fatta dalla Pellegrini fuori dalle vasche).

Ieri il giornale rosa aveva un quarto dello spazio ciclistico occupato da "cose di doping", vere o presunte, attuali o antiche. Un po' come se dopo la finale di Champions League, delle 20 pagine abitualmente occupate dal calcio, 5 fossero state dedicate al doping, con domande su questo nuovo fenomeno tedesco ("Ma è normale che queste squadre corrano così tanto? Molto più della Germania dopata che sconfisse l'Ungheria al Mondiale del '54! Sentiamo che ne pensa il dottor Donati!!!"), o con approfondimenti su vicende del passato, del tipo "andiamo a svelare quanti giocatori della grande Inter di Herrera sono morti forse per doping", "andiamo a rivedere cosa conteneva l'armadietto del dottor Agricola", "andiamo a rileggere con occhi moderni le accuse della buonanima di Carlo Petrini". Ma questo non succede, come tutti sanno.

Invece il ciclismo sì, il ciclismo può tranquillamente essere tenuto costantemente sulla graticola dal giornale che ancora oggi, nel 2013, forgia la visione e la comprensione dello sport di ampie fasce di popolazione. E che non si assume nemmeno minimamente la responsabilità di problematizzare tali questioni, di andarci a fondo, di creare un corpus organico di scritti che chiariscano una volta per tutte le cose ai lettori. Poi saranno loro a decidere, a ragion veduta, se continuare a seguire il ciclismo oppure no.

Non è passato che poco più di un mese da quando la Gazzetta strillava a tutta pagina i suoi strali contro le mele marce che ancora si annidano nel gruppo, i kamikaze del doping, i banditi che non cambieranno mai, i Di Luca, in subordine i Santambrogio. Da quando la rosea raccoglieva in maniera acritica gli alti lai dei dirigenti del team, che continuavano a recitare la parte dei traditi (dai soliti ciclisti cattivi). Le mele marce, sempre colpa loro. Poi passa un mese e scopri che i sospetti dilagano su tutto il gruppo, al punto da dedicarci quasi mezza pagina dopo una semplice cronosquadre.

Ma allora dov'è la verità? Il gruppo è pulito e ci sono solo pochi pazzi che continuano a sgarrare, oppure circolano ancora varie forme di doping e certi quotidiani a giorni alterni propendono per una visione più celestiale (magari durante il Giro) o più tetra (magari durante il Tour)? Decidetevi ragazzi. Gialanella, Bergonzi, Ghisalberti, Scognamiglio, Pastonesi, decidetevi e ricordatevi della responsabilità che grava sulle vostre penne (o tastiere): spiegate le cose come stanno veramente, senza tesi di comodo (il Di Luca sporco e cattivo); oppure evitate. Il ciclismo non ha davvero più bisogno di essere analizzato come se fossimo la sera al bar - birra ghiacciata e rutto libero - sul più importante giornale sportivo d'Europa.

Marco Grassi

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