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Vuelta a España 2012: Contador, 7 sulla strada - Alberto vince il 7° (5° per l'UCI) grande giro. Rimpianti per JRO

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Alberto Contador in maglia rossa sul podio finale della Vuelta a España 2012 © Bettiniphoto

Sotto lo striscione d'arrivo di Madrid, e della Vuelta tutta, Alberto Contador fa il segno 7 con le mani, una, tutta aperta, simbolo festoso, l'altra con pollice e indice ad angolo retto che di lì a poco, sul podio delle premiazioni, si trasformeranno nell'ideale pistola che da anni accompagna le esultanze del campione di Pinto. Fa il segno 7 perché 7 sono, con questo, i grandi giri che ha vinto in carriera; col piccolo particolare che un paio tra i più prestigiosi (Tour 2010, Giro 2011) gli sono stati tolti in seguito ad una delle più cervellotiche sentenze antidoping della storia, in ossequio alla barbara (e di recente introduzione) usanza di riscrivere le classifiche ex post; un'usanza che toglie senso e credibilità allo sport anche più che il doping stesso, ma questi sono i tempi e l'incertezza regni (e regnerà) sovrana sulla nostra infantile passione.

Ne ha vinti sette, o cinque, conta o non conta?, Contador conta a partire dall'ultimo, forse il più sofferto col primo (il Tour 2007), ma di certo più bello di quello, perché questo è il grande giro del riscatto, del rientro dopo la squalifica, della conferma di poter essere ancora vincente ai massimi livelli; ma è anche il GT dell'incertezza, dei mille dubbi su se stesso e sulle sue capacità, una corsa in cui colui che l'ha vinta ha perso dai rivali in tutte le tappe di montagna eccetto una, ma quell'una, signori, che spettacolo quell'una. Il giorno geniale di Fuente Dé, e anche il giorno fortunato di Fuente Dé, perché ci vuole anche fortuna per assistere all'incredibile bambola generale di Rodríguez e della Katusha tutta, e approfittarne; quel giorno, e quello della cronometro di Pontevedra, sono le tappe in cui Alberto ha costruito il suo successo. Nelle altre non ha saputo fare la differenza, semmai l'ha subita.

In avvio di Vuelta Contador era preoccupato più da Chris Froome che dagli altri, poi la cronometro ha rappresentato un vero e proprio spartiacque, laddove ha annunciato che il britannico era in calando, mentre ha confermato la splendida forma di un Rodríguez che quel giorno salvò la maglia rossa per un solo secondo su Alberto. Quantomai sintomatico di un'intera gara in cui i tanti attacchi di Contador venivano frustrati da Purito proprio sul più bello: non si sono contati gli scatti del capitano della Saxo Bank sulle rampe troncafiato che gli organizzatori hanno profuso a piene mani nei finali di tappa della Vuelta 2012.

Una riflessione s'impone su questo tema: abbiamo ormai capito che i 3 km durissimi, al 20%, alla fine di una tappa di montagna, sono fiele per lo spettacolo. Nessuno si azzarda ad attaccare da troppo lontano, perché c'è il timore di piantarsi e morire (sportivamente parlando) in vista del traguardo. Uno o anche due arrivi di questo tipo possono andar bene nella prima settimana, per dare una sgrossata alla classifica, ma alla lunga il copione diventa troppo moscio e ripetitivo. Non è assolutamente un caso che la frazione più spettacolare sia stata quella delle salite con le pendenze più dolci: non significa che gli arrivi debbano essere tutti al 3%, ma che dare a corridori e relative squadre la possibilità di organizzare qualcosa di fantasioso, in qualche caso paga, e paga bene.

Il cicloalpinismo e il ciclismo sono due sport diversi. Joaquim Rodríguez è bravissimo nel secondo ed eccelle nel primo, e su questo fattore ha costruito le sue fortune, andando a vincere tre tappe e piazzandosi varie altre volte, facendo collezione di abbuoni e di qualche secondo di margine qua e là. Un lavoro da pertinace formichina, che fino a Cuitu Negru sembrava essere vincente, con un margine giunto a lambire il mezzo minuto e solo un'altra tappa, quella di Bola del Mundo, da temere (almeno sulla carta). Non era pensabile che JRO potesse vincere un grande giro con minutate di vantaggio sul secondo, ma il suo predominio, basato su fragili equilibri, pareva destinato a giungere a compimento, stavolta.

Tantopiù che Purito alla Bola del Mundo ha dato la dimostrazione di poter fare ancora male a Contador, ma a quel punto la frittata era fatta, e la brutta débâcle di Alberto è stata in parte oscurata dal fatto che il madrileno abbia difeso la maglia rossa; resta il fatto, però, che Contador dovrà salire di giri, se vorrà essere competitivo al Tour 2013. In questa Vuelta non è mai riuscito a staccare in montagna gli avversari, e deve ringraziare il grande contributo della sua squadra se ha potuto estrarre il coniglio dal cilindro a Fuente Dé.

Un'azione, quella, che gli ha consegnato la Vuelta, e che ha avuto successo anche per l'incredibile passaggio a vuoto dei Katusha: JRO che sottovaluta l'azione di Alberto ai 53 km, i suoi compagni che si sciolgono come neve al sole, rendendo impossibile l'inseguimento. Una giornata che, anche a ricordarla tra 20 anni, resterà un buco nero nei pensieri del catalano.

Tra lui e Contador s'è inserito ottimamente Valverde, che dopo il Tour scialbetto (per quanto nobilitato da una vittoria di tappa) non dava l'idea di poter lottare per vincere la corsa spagnola, e invece a conti fatti il murciano ci è andato anche più vicino di quanto non sembri, visto che al suo ritardo finale dal vincitore (1'16") andrebbero tolti 55" persi banalmente (per caduta e ventagli) nella tappa di Valdezcaray. A parte il secondo posto nella generale e le due tappe conquistate a Eibar ed Andorra, il capitano della Movistar porta a casa la maglia verde della classifica a punti e quella bianca della gran combinata (strappandole entrambe a Purito grazie al sesto posto nell'ultima tappa, tra l'altro). E avanza una candidatura non sottovalutabile per il Mondiale (imitato da Philippe Gilbert che, rinato dopo mesi molto negativi, ha vinto due tappe e punta deciso a Valkenburg).

Quanto agli altri: i contendenti della Vuelta 2011, Juanjo Cobo e Chris Froome, hanno diversamente deluso. Lo spagnolo non si è praticamente mai visto, nemmeno per indossare la maglia rossa il primo giorno, quando la sua Movistar ha pur vinto la cronosquadre (ma il primo a passare sotto lo striscione fu Castroviejo); l'inglese è stato ottimo per metà Vuelta, ma poi è andato decisamente declinando, mettendo la propria tenacia al servizio di un quarto posto in classifica che non è un podio ma è comunque il segnale che non siamo di fronte a un intruso dei GT. In 12 mesi Froome ha messo insieme un secondo e un quarto posto alla Vuelta, e un secondo al Tour. Quando potrà giocarsi un grande giro al meglio della condizione (non come a questa Vuelta), e senza vincoli di squadra (non come alla Vuelta precedente e al Tour), avremo un quadro più completo delle sue possibilità, che paiono in ogni caso altissime.

Dani Moreno, uomo ombra di Purito tranne che nella tappa decisiva, chiude in quinta posizione, quasi il massimo possibile per un gregario di lusso come lui; quindi si entra nel campo delle delusioni: la Rabobank trova un Ten Dam mai così competitivo (ottavo alla fine), ma al contempo fa i conti con un Gesink che ha smarrito la capacità di incidere (solo sesto) e con un Mollema in netta flessione (addirittura 28esimo). Ed entrambi avevano già disputato un Tour da dimenticare.

Delude anche Antón, nono della generale e mai seriamente in lotta per vincere almeno una tappa; delude moltissimo Van den Broeck, quarto al Tour e letteralmente impalpabile alla Vuelta (da cui si è ritirato dopo 13 tappe); escono fortemente ridimensionati, relativamente alle possibilità nei GT, uomini come Roche, Machado, Monfort, e purtroppo anche Eros Capecchi, che si è misurato per la prima volta coi gradi di capitano in una grande gara a tappe, ed è durato metà Vuelta, prima di perdere inesorabilmente terreno dai migliori. Solo 25esimo alla fine l'umbro, neanche il migliore degli italiani, visto che la palma spetta a Rinaldo Nocentini, 18esimo.

Siamo ai livelli consueti alla Vuelta, per i nostri colori: presenza sporadica nelle fughe (anche se una l'abbiamo portata a casa, con Dario Cataldo, che però si avvia a diventare ottimo gregario, ponendo fine ai sogni da capitano), presenza deprimente in classifica (laddove ad esempio Cunego non è riuscito mai a inserirsi nei quartieri alti, chiudendo al 33esimo posto dopo 3 settimane di invisibilità), presenza più costante nelle volate, nelle quali abbiamo dimostrato una certa competitività, che però è stata spesso frustrata dalla superiorità netta di John Degenkolb.

Elia Viviani ha più volte provato a contrastare il tedesco, lascia la penisola iberica con due secondi posti ma dovrà lavorare tanto per migliorare e crescere di livello; Daniele Bennati è invece riuscito a imporsi, a Valladolid, e ciò gli rende molto positivo il bilancio di una gara che gli ha regalato anche un secondo e due terzi posti. Certo, quando Degenkolb è stato nelle migliori condizioni per sprintare (e ciò è avvenuto quasi sempre, in occasione delle tappe più facili), non è stato possibile tenergli testa. 5 successi per lui, che è il capofila dei nomi nuovi lanciati dalla corsa spagnola.

Gli altri sono Simon Clarke, una vittoria di tappa e la maglia a pois di migliore scalatore; Andrew Talansky, in evidente crescita e capace di ottenere un settimo posto in una corsa che non era propriamente adattissima alle sue possibilità. L'americano, alle soglie dei 24 anni, dovrà confermare nei prossimi GT a cui parteciperà di essere almeno all'altezza di un Van Garderen (che è stato maglia bianca al Tour). E poi i colombiani, fantastici camosci, rappresentati in Spagna dal giovanissimo Anacona (che nella prima metà di Vuelta è stato ottimo, per poi scivolare fino al 19esimo posto nella terza settimana); ma anche da un Henao che, se non avesse dovuto lavorare tanto per Froome, avrebbe potuto far meglio del 14esimo posto che ha conquistato; e da un Quintana che è stato a sua volta preziosissimo gregario di Valverde ma che in salita ha lasciato intravedere lampi di pura classe.

In definitiva: Vuelta molto gradevole da seguire, lotta aperta praticamente fino alla fine fra tre spagnoli che hanno onorato al meglio la corsa di casa. Migliorie? Sempre possibili, a partire da un più equilibrato disegno del tracciato; punti di forza? Quando hai una startlist come quella di quest'anno, con un certo Contador contrapposto al secondo classificato del Giro (Rodríguez) e al secondo del Tour (Froome), e per di più nella contesa riesce a inserirsi anche un vecchio e amatissimo campione come Valverde, è automatico che la corsa cresca di livello. Il problema, come al solito (e come succede anche per il Giro), è dare continuità ad una partecipazione tanto qualificata. Ma questo, con tutta la bravura che possiamo riconoscere agli organizzatori, non dipende solo da questi ultimi ma anche (e forse soprattutto) dall'UCI.

Marco Grassi

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