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Giochi Olimpici 2012: Gold Save The King! - Wiggins, e chi sennò? Gran Bretagna in delirio. Martin e Froome sul podio, Pinotti 5°

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Bradley Wiggins, la medaglia d'oro, i cinque cerchi olimpici © www.london2012.com

Centinaia, migliaia di braccia protese verso di lui, in rappresentanza di milioni di altre braccia che idealmente si stringono nell'abbraccio al campione più amato di Gran Bretagna. Bradley Wiggins, finita da pochi minuti la cronometro in cui ha dato una dura lezione a tutti gli avversari, si aggira tra lo spaesato e il divertito nel tratto finale della prova contro il tempo, va a cercare qualcuno tra il pubblico, e intanto, da dietro le transenne, tutti vogliono toccarlo, non basta più il filmatino tremolante da twittare agli amici per dire "io c'ero", in una giornata simile i tifosi cercano un contatto diretto, tattile, reale, «allora esiste davvero, è di carne e ossa (soprattutto ossa) come noi!», con l'uomo che ha sovvertito tutte le gerarchie dello sport in Inghilterra e dintorni.

In un paese altamente calciofilo, Wiggins rappresenta oggi - e non esageriamo - quel che fu per l'Italia Pantani nella seconda metà degli anni '90: è una venerazione pubblica quella che s'è scatenata per lo scorbutico Bradley, che tra l'altro non fa niente di particolare per accattivarsi le simpatie della gente (basti vedere come snobbava, come fosse la cosa più naturale del mondo, anche i bambini che gli chiedevano un autografo oggi); niente di particolare se non vincere, of course.

Prima in pista; poi addirittura il Tour de France. Infine, il coronamento rappresentato dall'oro olimpico nella cronometro su strada, riuscendo là dove aveva fallito Cavendish sabato, e confermando che le prime pagine, le copertine, i servizi in tv, l'euforia dei social network, la febbre da basettoni esplosa a Londra, sono destinate a sopravvivere all'ubriacatura momentanea di un amore - nei suoi confronti - esploso irrefrenabile.

E lui, lì, sul gradino più alto del podio, allampanato come quando stava per suonare la campana olimpica alla cerimonia di inaugurazione, baciato dal sole e pure da McQuaid (ogni fiaba ha un risvolto orrorifico...), a pensare chissà se a una birra, o al mese più incredibile della sua vita, o ancora a quanto sarebbe stato meglio che per la premiazione gli avessero concesso di ascoltare God Save the Queen dei Sex Pistols, anziché la versione ufficiale dell'inno. Del resto l'ambiente reale non è la sua cup of tea: dopo aver accolto nei giorni scorsi con una certa sufficienza i complimenti della Regina, oggi ha rasentato l'insofferenza mentre a felicitarlo era la principessa Anna.

Un burbero dal cuore d'oro? Forse; di sicuro dalle gambe d'acciaio. Quelle gambe che gli hanno permesso di non fare prigionieri (usiamo un tono guerresco forse influenzati dall'inutile e un po' ridicola marzialità delle cerimonie di premiazione londinesi...), oggi nella gara più attesa dopo che, per i colori di casa, quella in linea si era risolta in un disastro. Da quel giorno, tra l'altro, la Gran Bretagna, partita tra le fanfare, si era sportivamente depressa parecchio, con un medagliere a cui continuava a mancare l'oro (per la cronaca, appena poche ore prima di Wiggins ci ha pensato il canottaggio a cancellare lo 0 nella casella delle medaglie più nobili).

Una scarsità di risultati che rendeva praticamente obbligatorio centrare il risultato pieno, oggi. E bisogna dire che, quando è annata, tutto tende ad andare nel verso giusto: può anche capitare che i due principali rivali se la debbano vedere coi postumi di infortuni più o meno gravi, e che ciò in qualche misura spalanchi un'autostrada di possibilità.

Wiggins non è partito a tutta, si è concesso in avvio qualche chilometro per entrare nel mood giusto, per assestarsi al meglio sul mezzo, per acquisire via via maggiore rotondità di pedalare, per sublimarsi ancora una volta con una prova in cui non smette di conquistarsi soddisfazioni. Al primo intertempo, dopo 7 km, in testa c'era infatti Tony Martin, reduce da un Tour de France a mezzo servizio (a causa di una frattura allo scafoide), ma in grado di presentarsi all'appuntamento dell'anno in condizioni non meno che buone.

Tutti gli altri, a partire da Cancellara, Phinney e Froome, già dietro, anche se di pochi secondi. Con l'andare della gara e il passare dei chilometri, Bradley ha preso un abbrivio strepitoso, che l'ha portato a superare Martin al secondo intertempo (km 18), laddove i 4" di ritardo del primo sono diventati 11 di vantaggio. A questo punto della gara, era già chiaro che Cancellara stava soffrendo parecchio, preceduto anche da un Froome che invece, forse un po' inaspettatamente, si stava esprimendo ad altissimi livelli.

E per Fabian il calvario è peggiorato chilometro dopo chilometro, tanto che alla fine, tra tante sofferenze, l'elvetico non ha potuto far meglio di un settimo posto, anche se ad appena 15" dal quarto, ovvero da un Phinney partito meglio di quanto non abbia finito, ma che centra il secondo quarto posto in cinque giorni: due medaglie di legno per il simpaticissimo Taylor, che difende con gagliardia il suo meritato posto tra i grandi del ciclismo d'oggi.

Quanto ai primi tre posti del podio, nulla è più mutato nella seconda parte della prova, se non l'entità dei distacchi inflitti da Wiggins: al traguardo il corridore della Sky ha fatto segnare il tempo di 50'39" (a oltre 52 di media), dando 42" a Martin, 1'08" a Froome, 1'58" a Phinney, 2'11" a un buon Rogers, sesto, e 2'14" a Cancellara.

Da questo elenco manca il quinto, perché il quinto merita un discorso a parte visto che si tratta di Marco Pinotti. Il bergamasco stava all'Italia un po' come Wiggo stava alla Gran Bretagna, era cioè chiamato a salvare in qualche modo la patria dopo i rovesci delle precedenti prove ciclistiche. E Pinotti è stato veramente bravissimo, inserendosi sin dall'inizio nella lotta dei migliori, perdendo inevitabilmente dai più forti, ma superando alcuni quotati avversari (non solo Cancellara, ma - per dire - anche gente come Grabsch, ottavo al traguardo).

Pinotti, 36 anni, ha aggiunto con il quinto posto londinese (a 2'10" dal vincitore) un'altra interessantissima pagina al romanzo della sua brillante carriera. Difficile sperare, alla vigilia, che potesse fare di più e di meglio, e anche se un piazzamento nei 5 non rende di colpo vincente la spedizione azzurra in Inghilterra, rende quantomeno più accettabile il bilancio. Non era del resto questa la prova su cui si andava a valutare il peso del nostro movimento.

Altri particolari della crono olimpica, in chiusura: Spagna divisa tra la bella prova del giovane Castroviejo (nono al traguardo a 2'50" da Wiggins) e la sfortuna incredibile di Luis León Sánchez, che ambiva a un buon piazzamento, ma che ha rotto la catena all'atto di lanciarsi dal trampolino di partenza. Secondi persi ma soprattutto motivazioni andate a farsi un giro; in più il murciano ha pure fatto i conti con una foratura, dopo pochi chilometri della sua prova (LLS è stato 32esimo su 37 al traguardo).

Sfortuna anche per Larsson, caduto strada facendo (16esimo alla fine), mentre Chavanel, alle prese con problemi fisici, è stato appena 29esimo, subito dietro Hesjedal 28esimo. L'ultimo della prova è il turco Ahmet Akdylek (che paga 8'32" a Wiggins), mentre non si può non celebrare l'ultima gara da professionista (se non cambia idea) del mitico Alexandre Vinokourov, campione in linea e solo 23esimo nella crono (ma di mezzo ci sarà stato qualche festeggiamento...).

Chiusa la fase su strada delle Olimpiadi, domani si andrà già al coperto con le prime gare su pista. L'Italia schiera il solo Elia Viviani, nell'Omnium, ma il veronese entrerà in gara solo sabato mattina; fino ad allora non mancherà comunque lo spettacolo nello splendido velodromo dell'Olympic Park.

Marco Grassi

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