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Giochi Olimpici WE 2012: L'Olimpo e la sua Dea - Marianne Vos non dà scampo, attacca e vince. Podio Armitstead-Zabelinskaya | Cicloweb

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Giochi Olimpici WE 2012: L'Olimpo e la sua Dea - Marianne Vos non dà scampo, attacca e vince. Podio Armitstead-Zabelinskaya

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Marianne Vos esultante per la vittoria nella prova olimpica di Londra 2012 © london2012.com

Quando ti trovi su un rettilineo, 450 metri per mandarti all'inferno o in paradiso. Quando sei la più forte e non metti la squadra a tirare per te tutto il giorno come Cavendish ma attacchi in prima persona e fai attaccare le olandesi. Quando all'ultimo chilometro sei ancora con due atlete che saranno sicuramente medagliate e che potrebbero batterti è più che lecito che il Mondo, dopo cinque argenti mondiali, ti appaia di quel colore: argentato. Quando sei Marianne Vos ogni logica ciclistica, ogni tattica, ogni scala di forze in campo va fortunatamente a farsi benedire e viene soppiantata dall'unico fenomeno totale che le due ruote possano ad oggi vantare.

Avrebbe potuto sbagliare il colpo, Marianne Vos, l'ennesimo in una grande occasione, e per qualche istante, quando la volata era lanciata e Lizzie Armitstead pareva in rimonta, schiacchiata dalle inquadrature, lo spettro di un altro argento in eventi di portata mondiale era apparso. Ma la forza, la potenza, la pedalata e la grinta della 25enne di Meeuwen era troppa per farsi scappare un'occasione simile. Non poteva lanciare la volata, farsi riprendere e superare dalla Armitstead. Non così, non oggi doveva accadere.

Non è accaduto, in una gara dai parecchi punti morti ma che ha visto attaccare sempre Marianne Vos (o chiudere in prima persona sulle attaccanti, Emma Pooley e Judith Arndt su tutte). Pensava all'oro olimpico su strada dal 2008, da Pechino, quando chiuse soltanto 6a nella prova in linea (ma si portò a casa l'oro su Pista, nella Corsa a Punti, a soli 21 anni). Nel frattempo passi avanti sono stati compiuti dalla Vos, e tanti anche. Da talentuosissima atleta è diventata la dominatrice del ciclismo femminile (ancora una settimana fa vinceva il Tour en Limousin dando un distacco di 14' alla seconda classificata...), non poteva non arrivare la giusta consacrazione.

Janildes Fernandes subito in fuga, poi Olanda scatenata
Partenza a ritmo di samba, con la brasiliana Janildes Fernandes in fuga mentre ancora le atlete non erano uscite da Londra. Una passerella, si capisce, perché l'atleta carioca che dà di spalle e si volta a destra ed a sinistra, quasi per salutare con lo sguardo la gente a bordo strada, viene subito ripresa dal gruppo. Plotone che, compatto ed appallato, esce da Londra proprio quando entra in campo il fattore pioggia (le strade erano già bagnate, in realtà).

L'andatura cala fino a ritmi da funerale; sarebbe anche appropriato visto che tutte vogliono dare un contributo per celebrare oggi quello sportivo di Marianne Vos, favorita numero uno, con 62 atlete contro. L'Olanda sa che su un percorso simile la volata non è scontatissima - avranno sicuramente visto la gara di ieri - ma a questi ritmi blandi una Olds, Teutenberg o Bronzini rischiano di distruggere i sogni di Marianne Vos. Sarebbe l'ennesima volta, per questo le olandesi ravvivano le acque sin da subito. Inizia tutto con uno scatto di Ellen Van Dijk, che costringe le altre ad inseguire. Ripresa, parte la Van Vleuten, ma si rialza prestissimo. Nel mentre la Van Dijk ha rifiatato e contrattacca nel volgere di pochi chilometri.

Il gruppo ora non è più appallato, Germania e Gran Bretagna inseguono. Allunga anche l'Australia con Shara Gillow, che però non va lontano. In realtà il lavoro delle olandesi, con la Van Dijk su tutte (coadiuvata da Van Vleuten e Gunnewijk) a scattare e controscattare, non produce la scrematura sperata. Nessuna fuga in atto nei primi chilometri, qualche sporadico allungo che non può impensierire nessuna, un forcing velato e leggerissimo sulla salita di East Clandon (che da sola fa più di due Box Hill messe insieme). Lì parte Emma Pooley con la sua solita danza sui pedali; Evelyn Stevens le si porta a ruota ma non fanno il vuoto, anzi, vengono riprese da Marianne Vos e dal resto del gruppo, ora sì sgranato ben bene. Nel frattempo forano in molte, tra cui Giorgia Bronzini. Il meccanico dell'Italia impiega più del previsto per cambiare la ruota posteriore della due volte Campionessa del Mondo e così la piacentina è costretta ad inseguire il gruppo facendosi un bel dietro macchina, dapprima "sconsigliato" dall'auto rossa della giuria ma in séguito ripreso finché Tatiana Guderzo non aiuterà la compagna a tornare con le altre.

Box Hill: si stacca la Baccaille ma non c'è troppa selezione
Siamo così al circuito di Box Hill ed il plotone è compatto e tirato dalla canadese Clara Hughes. Tutti si aspettano lo scatto della Vos, invece non succede nulla sino al culmine. Anzi, qualcosa succede: Monia Baccaille non tiene il ritmo imposto dalla Hughes alle prime della classe e cede d'improvviso (l'atleta umbra concluderà la gara a stento), lasciando Giorgia Bronzini sola con Noemi Cantele e Tatiana Guderzo. Scollinamento ed ecco sul falsopiano un attacco di Judith Arndt. Marianne Vos capisce al volo che la tedesca, reduce dalla brillante vittoria al Thüringen, non è tipa da lasciar andare via così e da sola le si appiccica alla ruota. Passa anche in testa e forse, per un secondo, Marianne pensa che quell'azione sia buona per provare ad andare al traguardo.

Quando la tedesca dell'Orica-GreenEDGE si rialza siamo già diretti verso la discesa (e nel gruppo la strada bagnata frega Loes Gunnewijk, scivolata sulle strisce pedonali). Se fosse tecnica, la Vos non ci metterebbe molto ad andarsene da sola, ma su questi drittoni di campagna inglese non è cosa semplice fare il vuoto. La seconda ed ultima ascesa alla Box Hill è anticipata dalla caduta di Kristin Armstrong, numero 13 di dorsale, rovesciato per scaramanzia. Evidentemente non funzionano certi giochini.

Se la prima salita aveva fatto soffrire molte, la seconda ed ultima ascesa screma il gruppo, certo, ma il ritmo non è trascendentale. Marianne Vos prova l'allungo quando però la strada inizia a scendere ed il gruppo è nuovamente sulla ciclista più controllata della corsa. Chi non subisce particolari marcature è la russa Olga Zabelinskaya. La figlia dell'oro olimpico nella gara su strada a Mosca 1980, Sergej Suchoručenkov, guadagna un bel po' sul gruppo.

Scatto Zabelinskaya, quando l'Olimpiade è nel DNA
Pare pericolosa, la Zabelinskaya, atleta capace di andare da sola sino all'arrivo o di attaccare nei momenti più inopportuni di una gara. Prendere o lasciare, lei è fatta così. Dietro capiscono che Olga è la testa di ponte giusta ed a 41 km dal termine - si sta ormai tornando verso Londra - la discesa lancia Elizabeth Armitstead (Gran Bretagna) e Shelley Olds (Usa). Entrambe veloci, la Olds velocissima, si giocherebbero l'oro contro una Zabelinskaya che fa del passo la sua arma vincente.

Tutto questo lo sa bene Marianne Vos che repentinamente si accoda alle due. Ci vuole un attimo perché formino un quartetto con la Zabelinskaya, evidentemente voltatasi ad aspettarle. All'inizio hanno 13" su un gruppo che parte da perdente, con la Germania di Arndt e Teutenberg e l'Italia di Giorgia Bronzini ad inseguire. Non sarà un inseguimento forsennato ma là davanti, quando tira la Vos, il vantaggio sale. Sono 18" di vantaggio sul gruppo dopo una tirata dell'olandese, tornano a 16" dopo che lo stesso turno della Vos se lo dividono Olds, Armitstead e Zabelinskaya, ritorna a salire sino a 20" il gap, con la fuoriclasse di Meeuwen che semina quasi le compagne d'avventura ad ogni tirata.

Olds, Vos, Zabelinskaya ed Armitstead se ne vanno
A tutte e quattro sta bene che la fuga vada in porto, alla Vos meno, almeno con quelle atlete. Perché? Presto detto: Shelley Olds non fa altro che preparare i Giochi da inizio 2012, è all'occasione della vita (l'americana è una classe '81) ed ha dalla sua uno spunto veloce più che notevole (habattuto Marianne Vos in volata ancora a Salsomaggiore, al Giro d'Italia). Meno preoccupante per la Vos è la Armitstead, veloce ed in un gran momento di forma. Il fatto che corra in casa è un fattore in più per la bella ragazza di Leeds. C'è poi la Zabelinskaya che tra tutti questi sguardi al cambio dato o non dato potrebbe graffiare con una zampata delle sue, portando in famiglia un altro oro, 32 anni dopo quello di papà Suchoručenkov.

Succede però che da un momento all'altro Shelley Olds si ritrovi nel gruppo inseguitore insieme alle compagne Amber Neben ed Evelyn Stevens. La statunitense ha forato, davanti restano Vos, Armitstead e Zabelinskaya. Sanno che se collaboreranno andranno a medaglia e per quasi tutte è una ragione più che buona per darci dentro. «Full gas», dirà Marianne Vos a fine corsa per rendere meglio l'idea. E in effetti è l'olandese che ci dà dentro sempre, senza saltare mezzo turno, mentre Armitstead, in coda, rifiata e prova a pensare a come mettere nel sacco Marianne Vos.

Il gruppo si rialza, Olds ha forato
Dietro è ormai la resa, con qualche sporadica tirata della Germania, che spera ancora in un ricongiungimento per Ina-Yoko Teutenberg, e con l'Italia che mette a lavorare Noemi Cantele. Il vantaggio del trio di testa non accenna a calare ed ogni tirata della Vos aggiunge secondi preziosi alla fuga. Alle porte di Londra sono 44" a separare Vos, Armitstead e Zabelinskaya dal gruppo. Le tre di testa iniziano a studiarsi ed il gap scende a 33". Vos prova un paio di volte ad allungare, anche se probabilmente si tratta solo di alcune trenate impossibili da tenere per le altre due. Si arriva alla fine con Lizzie Armitstead che salta palesemente i cambi e s'incolla alla ruota di Marianne Vos, com'è giusto che sia; la volata a due, con Zabelinskaya che tira come un mulo ancora dopo 140 km a tutta, è scontata.

Si entra sul red carpet di The Mall con la russa in testa, Vos in seconda ruota a controllare con la coda dell'occhio la Armitstead, a sua volta pronta a gelare il sangue nelle vene dell'olandese. È proprio Marianne Vos a lanciare la volata, tenendosi in testa e pedalando frote, respingendo il pensiero di quell'argento che la ossessiona da cinque Mondiali a questa parte. Ci mette tutta la forza che ha, Marianne Vos, per contenere la rientrante (ma nemmeno troppo) Lizzie Armitstead.

La linea d'arrivo pare lontana, la volata lunghissima, infinita, eterna. Eppure alla fine è vincente. Forse la più bella vittoria, a livello emozionale, per la fuoriclasse olandese. Zabelinskaya coglie un bronzo consolatorio e giusto mentre il gruppo, sopraggiunto sul traguardo a 27" dalla vincitrice, è regolato da Ina-Yoko Teutenberg sulla nostra Giorgia Bronzini, solo 5a.

Per l'iridata ancora non arriva la vittoria in questo 2012 e l'occasione londinese, su cui la piacentina contava molto, è sfumata per distrazione: «Ha vinto la più forte, l'ha dimostrato anche oggi. Uscite dal circuito di Box Hill tra un attacco e l'altro ci siamo perse. Ci è toccato inseguire, l'unica cosa che non dovevamo fare. Sapevamo che Marianne avrebbe attaccato e l'ha fatto, ci siamo fatte sorprendere.

Tatiana e Noemi hanno svolto un gran lavoro per provare a chiudere sulle tre attaccanti ma non c'è stato nulla da fare. In volata ho dovuto cedere contro la velocista più forte del momento, speriamo di rifarci al mondiale», affermerà subito dopo la gara. Alle spalle della Bronzini troviamo Emma Johansson, vittima di una foratura nel finale, Shelley Olds, Pauline Ferrand-Prévot, Liesbeth De Vocht ed Aude Biannic.

Le altre azzurre sono Tatiana Guderzo, che chiude 30a, e Noemi Cantele, 34a, per una spedizione che ha del deludente. Per il resto ha vinto la più forte, marianne Vos. Ha voluto rendere la corsa dura, ha attaccato da lontano ed in prima persona, non ha perduto di vista una sola delle sue potenziali avversarie, ha immaginato uno scenario, la fuga negli ultimi 40 km, e l'ha realizzato insieme ad altre compagne d'avventura.

Adesso l'attende la cronometro, mercoledì; esercizio che a suo dire è il suo punto debole. La doppietta è difficile ma non impossibile. Perché in questi anni Marianne Vos ci ha insegnato che la parola "impossibile" non è da lei contemplata ed in secondo luogo perché la Vos ammirata oggi punti deboli parrebbe davvero non averne.

Francesco Sulas

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