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Il ritratto: Caro Robbie, sei stato Magic - McEwen saluta il gruppo in California

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Robbie McEwen, in maglia verde, si esibisce in una delle sue evoluzioni - Foto da Hallvardfrida.unitblog.comVederlo sfrecciare davanti a tutti, prendendo magari la ruota del velocista di riferimento per poi bruciarlo negli ultimi cinquanta metri sarebbe stato il top. Assistere a ciò sul traguardo di Los Angeles, dopo la partenza da Beverly Hills e con Hollywood lì ad un tiro di schioppo, sarebbe stato un film troppo bello da girare (e lì, naturalmente, di pellicole di celluloide se ne intendono). Troppo bello, già. Ma tant'è, nella vita ci si deve accontentare e saper dire comunque grazie.

Poco importa se su quel viale nel cuore della California sia arrivato soltanto un sedicesimo posto che nulla aggiunge alla propria storia personale, ci si ricorderà di una domenica di maggio dell'anno 2012 come dell'ultima volta che Robbie McEwen ha attaccato il numero dietro la schiena, cercando di respirare per l'ultima volta la favolosa essenza dello sprint, pervaso da quei brividi ineguagliabili su cui ha fondato la propria carriera e mandato in visibilio decine di appassionati. Quando il tempo scorre inesorabile e la carta d'identità non fa più alcun tipo di sconto, anche per i maghi giunge l'ora di farsi da parte, con la consapevolezza di aver insegnato a proprio modo il mestiere ai tanti giovani rampanti di un'intera nazione (e non solo, visto che dal passare dall'essere uomini qualunque a divenire idoli per più di una generazione il passo può essere molto breve).

Ci siamo entusiasmati un po' tutti di fronte alle mirabilie di M(agi)CEwen, venuto al mondo in quel di Brisbane il 24 giugno del 1972 (tra poco più di un mesetto quindi saranno quaranta le candeline da spegnere). Che a quel ragazzino piacesse la vita spericolata lo si capì molto presto, quando con una Bmx iniziò a fare evoluzioni da paura, che lo portarono inevitabilmente ai vertici nazionali. Un talento luminoso, sprezzante del pericolo che necessitava però di essere sgrezzato a dovere anche con l'entrata nell'Istituto Australiano dello Sport, altro passo determinante nel percorso che lo avrebbe ben presto portato definitivamente al ciclismo su strada (senza dimenticare qualche utile esperienza su pista). Si era nella metà degli anni Novanta e le prime esperienze europee furono già utili per far annotare a chi di dovere su un taccuino il nome di quel ragazzo venuto da una terra lontana (e che ancora non si sognava affatto, almeno riguardo la strada, gli entusiasmi e la voglia di divenire una vera e propria potenza mondiale degli anni a venire): prime vittorie e piazzamenti con un'affermazione di tappa anche al Tour de l'Avenir, una delle corse che da sempre sanno maggiormente mettere in evidenza i campioni del futuro.

Mettiamoci pure che a 23 anni il buon Robbie riesce già a lasciarsi tutti alle spalle nel campionato nazionale australiano (il primo dei suoi tre titoli vinti) ed ecco che, dopo gli esordi al Tour Du Pont (ironia della sorte a pochi chilometri da quello che sarà il teatro della sua conclusione di carriera), giunge finalmente l'ora del professionismo, con la Rabobank che è la più abile ad individuare le notevoli doti dell'aussie, cosicchè già nella prima stagione arriva un primo "scalpo pesante" alla Vuelta a Murcia, dove alle sue spalle finiscono nientemeno che Djamolidine Abdoujaparov e Jeroen Blijlevens.

Gli anni nella Bmx ed il non poter contare sull'aiuto di molti uomini nella preparazione dello sprint hanno finito così per fare di Robbie l'ideale archetipo del velocista, ossia dell'uomo abituato ad accettare la sfida brutalmente romantica della volata, che prima di elevarsi al massimo grado con uno spunto bruciante negli ultimi metri passa attraverso la lotta senza quartiere, fatta di colpo d'occhio nell'individuare il velocista di riferimento ed incollarsi alla sua ruota al momento giusto, a costo anche di fare a spallate con altri (nei limiti del regolamento naturalmente). Proprio questa sarà la dote caratterizzante dell'intera carriera del nostro "Magic", capace di farsi trovare praticamente sempre al posto giusto nel momento giusto. La sua ombra è stata di quelle da far sudare freddo chiunque e non si può non affermare come i vari Mario Cipollini, Erik Zabel o Alessandro Petacchi, che pure tante volte sono riusciti a piegarlo, hanno visto le proprie carriere nobilitate dalla presenza di Robbie, capace ogni volta di dare quel qualcosa in più alle loro vittorie così come la maggior parte delle occasioni in cui è stato l'australiano a prevalere i suoi gesti tecnici hanno saputo spingere all'applauso.

Tornando ai trascorsi in Rabobank, un'immagine risalta agli occhi su tutte: quella di McEwen vincente sui Campi Elisi alla conclusione del Tour 1999, dopo essere uscito come una scheggia dalla ruota di Zabel (vestito di verde) non mollando neppure per un metro fino al traguardo per centrare, proprio nell'occasione più prestigiosa, la prima vittoria di tappa al Tour de France, dopo due precedenti esperienze contrassegnate da tanta fatica e da qualche buon piazzamento (una considerazione, questa, di cui tenere a mente anche per i tempi odierni, in cui è spesso facile criticare aspiranti fenomeni dello sprint alle prime armi). Ecco, probabilmente è lì che è nato il vero Robbie McEwen, che con quel successo indubbiamente entrava in una nuova dimensione. Non stupisce quindi che sia stata proprio la Grande Boucle a rivestire una certa attrazione fatale per lui, capace di vincere negli anni ben 12 tappe (3 nel 2006, suo anno migliore sotto quest'aspetto) ma soprattutto di riuscire a portarlo a termine in ben undici occasioni (l'ultima delle quali nel 2010), conquistando per tre volte la maglia verde della classifica a punti, il sogno di ogni velocista sulle strade di Francia.

Una considerazione, questa, che però ha sempre fatto un po' a cazzotti con il McEwen brillante che si presentava già al via del Giro d'Italia e che, nonostante un identico bottino di vittorie, non l'ha mai visto portare a termine la corsa rosa in nove partecipazioni, molto spesso per avere la possibilità di recuperare e concentrarsi i propri sforzi al Tour (di contro però anche Cipollini, l'avversario di sempre, non è mai riuscito ad arrivare a Parigi e su tali questioni inevitabilmente si finirà sempre per discutere ed obiettare) mentre la Vuelta di Spagna tra i grandi giri si può forse considerare la sua bestia nera, dal momento che è riuscito a concluderla in una sola occasione e non è mai riuscito a vincere alcuna tappa.

Spesso si è soliti guardare al palmarès di un corridore per giudicarne il valore e di fronte ad un atleta capace di vincere quasi 230 corse in carriera (comprendendo ovviamente nel conteggio anche i criterium) non avremmo già dubbi nel trovarci di fronte ad un grande. La grande dote di McEwen però è stata spesso nella spettacolarità delle sue affermazioni, con spunti al fulmicotone o con gesti atletici e tattici di una bellezza rara: molti non lo ricordano ma già nel 2000 fu capace di conquistare una tappa al Tour Down Under (dove con 12 affermazioni è tuttora il recordman di successi di tappa) ad Adelaide, limitandosi non solo ad anticipare il gruppo ma addirittura ad arrivare in impennata, altro gesto che nel tempo è diventato un suo must, tanto che, soprattutto sulle strade del Tour (si trattasse di scalare l'Alpe D'Huez o il Tourmalet non faceva differenza), nell'eterna lotta contro il tempo massimo aveva trovato il modo di divenire una vera e propria attrazione per il pubblico, percorrendo in monoruota qualche breve tratto di salita (o limitandosi a salutare così sul traguardo.

In materia di "robe da M(agi)CEwen" comunque, il pubblico nostrano è sempre stato molto fortunato, se è vero che Robbie ha firmato proprio qui in Italia alcune delle sue vittorie spettacolari: dalla splendida volata di forza di Benevento al Giro 2001 su un traguardo che tirava all'insù alla spericolata entrata in curva di San Donà di Piave del 2003, quando in un finale reso difficilissimo dalla pioggia seppe entrare al meglio nel rettilineo finale (mentre alle spalle alcuni, Cipollini compreso, ruzzolavano a terra per l'entrata decisa di Galvez) così da vincere praticamente per distacco. Meravigliosa fu anche l'affermazione di Marina di Grosseto al Giro 2005, quando dopo aver preso visione del finale, confezionò un capolavoro tattico con il fido Henk Vogels, facendo il buco in favore del proprio compagno per poi saltarlo in progressione proprio negli ultimi 50 metri. E che dire della vittoria di Civitavecchia alla Tirreno-Adriatico 2007? Anche in quel caso Robbie seppe ricorrere come meglio non poteva all'aiuto di un compagno (in quel caso l'americano Fred Rodriguez) per farsi fare il buco e sorprendere tutti addirittura ai 400 metri, imboccando così rapidamente ed in beata solitudine le ultime due curve che conducevano all'insidioso traguardo, numero d'alta scuola che forse ha rappresentato la più bella e spettacolare delle affermazioni di Robbie.

Astuzia, istinto e quella giusta dose di guasconeria che in qualche caso l'hanno portato ad eccedere: se l'espulsione dal Giro 2000 (sorpreso attaccato ad un'ammiraglia) può essere classificata come un peccato per certi versi veniale e di inesperienza, ben più evidente (e se vogliamo anche spettacolare) fu quanto fece a Policoro nel 2004, in una tappa che comunque lo vide concludere alle spalle di Petacchi ma dove fu declassato per essersi fatto lanciare "all'americana" dal compagno di team Vierhouten negli ultimi cinquecento metri per recuperare preziose posizioni, per non parlare poi di quella volta in cui al Tour fu protagonista di uno sprint letteralmente "testa contro testa" con il connazionale O'Grady.

Altre volte invece per Robbie altra colpa non c'è stata se non quella di non essere riuscito a giungere entro il tempo massimo, guadagnandosi però l'ammirazione del pubblico per essere comunque riuscito a giungere fin sul traguardo: di certe cose, del resto, la gente sa accorgersi e vedere un corridore che ha sì una certa idiosincrasia per le salite tenere duro per giungere sul traguardo circa un'ora e dieci dopo il vincitore (come accaduto a Tignes, nel Tour 2007) testimonia comunque quella voglia di vender cara la pelle prima di arrendersi. Certamente più malinconico invece è stato l'"hors delais" rimediato sull'Etna lo scorso anno, che ha rappresentato il suo commiato da quel Giro d'Italia che ha saputo dargli ugualmente la fama che meritava (l'ultimo suo successo invece risale proprio al 2007 sul traguardo sardo di Bosa, così come nello stesso anno sfrecciò per l'ultima volta al Tour in quel di Canterbury, per via del Grand Départ di Londra).

Non solo però le corse a tappe sono state teatro di un McEwen assoluto protagonista, anche se forse è lecito chiedersi cosa avrebbe potuto chiedere in più il buon Robbie ad una carriera già ottima così. Una risposta francamente l'abbiamo: un campionato del mondo, probabilmente. Già, perché il sogno del vestire una maglia iridata McEwen l'ha accarezzato da vicino, trovando però sulla sua strada il miglior Cipollini di sempre proprio quando anche lui nel 2002 stava vivendo una sorta di annata di grazia (oltre 20 successi nel suddetto anno). Contro Re Leone ed un'Italia perfetta però non ci fu niente da fare in quel di Zolder, molta curiosità invece resta per come sarebbe potuto essere il finale di Salisburgo senza la trovata geniale della Spagna, che sganciò abilmente Samu Sanchez e Valverde, ai quali furono lestissimi ad accodarsi sia Bettini che Zabel, col finale che tutti ben ci ricordiamo: se pensiamo che la volata del gruppo la vinse proprio McEwen ci rendiamo conto di come il titolo mondiale fosse tutt'altro che un'utopia, come poi in realtà è rimasta (col rammarico, tra l'altro, di non riuscire a disputare, a causa dell'età ormai avanzata, il mondiale di casa di Geelong).

Come pure un McEwen più resistente in salita avrebbe potuto dire la sua anche alla Milano-Sanremo in cui, in tredici edizioni disputate, soltanto una volta (nel 2007) riuscì a sfiorare il podio, giungendo in quarta posizione. Tuttavia non si può non notare come il conquistare per ben cinque volte (tra l'altro per quattro volte consecutivamente) una corsa che, seppur annoverabile come nobile decaduta, mantiene ancora un certo fascino come la Parigi-Bruxelles dà sicuramente lustro al palmarès di Robbie, così come la Vattenfall Classic di Amburgo (fatta propria nel 2008) o come la Dwaars door Vlaanderen (vinta nel 2003) in quel Belgio che nel tempo è diventato praticamente la sua seconda casa.

Quasi otto mesi sono trascorsi dall'ultima affermazione di una certa fattura di McEwen, se si fa eccezione per una gara a criterium conquistata a Singapore nello scorso mese di marzo: ancora una volta in Belgio, forse non a caso, teatro di ciò, precisamente nel Circuit Franco-Belga, con la classifica generale finale ad unirsi ad un paio di affermazioni di tappa, le ultime di Robbie con le braccia alzate. Vittorie ottenute in maglia RadioShack dopo i trascorsi in Rabobank (come già accennato), Farm Frites, Lotto e quindi Katusha, prima dell'ultima avventura nelle file dell'orgoglio patrio, l'Orica-GreenEDGE in cui è comunque scritto il suo immediato futuro di tecnico incaricato di svelare i suoi preziosi trucchi del mestiere ai più giovani.

Esauriti così poco più di quindici anni di onorata carriera, con quel magistero in grado di rendere, a suo modo, le volate stesse una forma d'arte moderna, ci sembrerà strano non vederlo più in gruppo, ci sembrerà strano non vedergli più prendere la ruota del velocista di punta e beffarlo negli ultimi metri, ci sembrerà strano non godere più di quell'imprevedibilità, quell'inventiva ed anche di quelle pazze impennate. Una cosa però da quest'oggi non ci sembra strana per niente: caro Robbie, ci mancherai!

Vivian Ghianni

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