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Squadre 2012: «Pochi campioni, troppe corse» - Il ciclismo visto da Fabio Bordonali

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Fabio Bordonali nel 2012 guiderà l'Utensilnord-Named - Foto da Cyclingworld.it

Fabio Bordonali ha raggiunto e superato la maggiore età. Se infatti l'uomo Bordonali, nato il giorno di Natale del 1963, rasenta i 50 anni, il Bordonali direttore sportivo è alla partenza della sua diciannovesima stagione in ammiraglia. «Non sono pentito di nulla, sono in questo mondo da un bel po' di anni ormai, dal 1994 con la Brescialat. Rifarei tutto, anche gli errori. Soprattutto gli errori. Perché da quelli si riparte e si impara a non sbagliare più». La sua Utensilnord - Named non è certo una formazione World Tour («per me è già una vittoria esser riuscito a fare al squadra») ma lui è già contento di aver portato tra le Continental italiane due sponsor nuovi «che prima si occupavano di ciclismo ma solo a livello minore. Sono l'unico, almeno in Italia, ad aver portato dentro due nuovi investitori». Una squadra di 17 ragazzi tra cui spiccano Gabriele Bosisio, al rientro alle gare dopo una squalifica di due anni, ed i giovani Marco Zanotti e Davide Mucelli.

Come sarà composta l'Utensilnord - Named?
«È una squadra di diciassette atleti, c'è Bosisio ma non solo. Dieci confermati dalla De Rosa del 2011 più altri sette, tra cui Davide Mucelli che arriverà. Abbiamo integrato la squadra dell'anno scorso con Fanelli, Monguzzi, Kurek, Zanotti ed Augustyn. Quest'ultimo arriva dalla Sky e va davvero forte in montagna. Lo ricordo al Tour di qualche anno fa, era un ottimo scalatore. Si deve ritrovare, ha patito qualche guaio fisico ma è ancora giovane e sono sicuro che con noi potrà riuscire ad esprimersi al meglio. Chi non dovrebbe restare sono Laganà, Borchi, Brambilla, Margutti e Merlo».

E poi ritornerà Bosisio.
«Gabriele ha 31 anni ma c'è gente che smette, ritorna e corre fino a 40 anni vincendo. Sono felice che sarà dei nostri. Dopo che fu squalificato mi preoccupai molto per lui. Lo vidi davvero giù di morale e gli dissi che se avesse ritrovato l'equilibrio che cercava gli avrei dato una seconda possibilità. Gabriele ha sbagliato ma chi è che non sbaglia nella vita?»

Per il resto tanti giovani, com'è consuetudine delle sue squadre.
«Penso che in Italia ci siano pochi giovani sui quali valga davvero la pena investire. Intendo dire che, tolti Nibali, Visconti e pochi altri, non abbiamo dei veri campioni. Cerco di far crescere i miei ragazzi e di tirar fuori da loro il massimo. Però è dura, lo ammetto».

Carenza di corridori di un certo livello: cos'abbiamo sbagliato in Italia?
«Sicuramente abbiamo pagato questo cambio generazionale. Mettiamoci anche che non abbiamo saputo tutelare i pochi campioni che avevamo dai problemi inerenti il doping... Intendiamoci, come scuola siamo la migliore del Mondo, però in campo internazionale non sappiamo farci valere. L'origine dei nostri problemi sta nelle categorie cosiddette minori».

Ossia?
«Ci sono squadroni che si accaparrano le vittorie ogni domenica, hanno un organico di trenta corridori. Ecco, quelle non sono squadre create per far crescere il giovane, servono più all'industriale, all'imprenditore di turno, perché ogni domenica abbia una bella vetrina, un suo palcoscenico. Una vittoria, insomma. Però non è detto che chi vince tanto tra gli Under 23 poi abbia questa continuità di risultati».

Ci sarà pure un rimedio.
«Innanzitutto penso che tra gli Under 23 ci vorrebbe un tetto massimo per le sponsorizzazioni. Inoltre bisognerebbe far sì che il limite dei dilettanti non fosse, com'è oggi in moltissimi casi, legato alla testa. Il corridore che passa professionista non deve sentirsi arrivato, insomma. E poi ci dovrebbe dare una mano anche la Federazione, essendo più presente a livello giovanile».

Tornando all'Utensilnord, quand'è fissato il primo ritiro?
«Ci troveremo a Brescia il 16 ed il 17 dicembre, un incontro per conoscerci meglio. Il ritiro vero e proprio verrà fissato in un fine settimana di gennaio. Le nostre gare saranno quelle del calendario italiano: Donoratico, la Challenge Calabria e via dicendo, insomma».

E per quanto riguarda il materiale tecnico?
«Resteremo fedeli per il quinto anno consecutivo alle biciclette De Rosa mentre Biemme ci fornirà il vestiario, ma solo per le gare. Quello da riposo infatti è di Reginato, azienda che si occupa anche di moda e che ha fornito il vestiario da riposo a molte mie squadre. Per i caschi ci siamo rivolti a LAS mentre per quanto riguarda le scarpe non mi impongo sui ragazzi. Ognuno deve sentirsi bene con il suo tipo di calzatura, quindi per questo sono liberi di scegliere la marca con cui si trovano meglio».

Per concludere, cosa pensa del ciclismo odierno?
«È un periodo difficile e tutti, io per primo, sentono già di aver ottenuto una vittoria se hanno continuato l'attività. Il fatto che nel World Tour ci siano ancora una decina di squadre da registrare è sintomatico di questa crisi. Si va dietro ai grandi nomi e così ecco le varie Katusha, Astana, ora GreenEDGE. L'anno scorso la Leopard sembrava dovesse fare chissà che cosa, oggi s'è fusa con la RadioShack. Sono fenomeni, questi, di corto respiro. Anche perché, nel caso di Katusha e Astana, non dico che se cade il Governo chiude la squadra ma ci siamo vicini... E vedere solo due italiane nel World Tour fa male, bisognerebbe essere un po' più patriottici. Lo stesso discorso vale per le corse».

Cosa non le piace del calendario UCI?
«Ci sono troppe gare e la gente finisce per trovarsi spaesata. Quando poi si va a fare il Tour of Qatar, che tecnicamente non ha granché da dire e si fanno morire corse con settant'anni di storia... Oggi ci sono pochi campioni ma moltissime corse, una volta era l'opposto: tanti campioni ma meno corse. E così poteva succedere che all'ormai defunto Giro del Lazio si trovassero tutti i più forti. Questo non accade più purtroppo. Speriamo davvero di uscirne».

Francesco Sulas

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