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Ciclismo in crisi: Costi raddoppiati, sviluppi ignoti - Saronni ci parla della situazione dei team | Cicloweb

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Ciclismo in crisi: Costi raddoppiati, sviluppi ignoti - Saronni ci parla della situazione dei team

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Giuseppe Saronni, general manager della Lampre-ISD © BettiniphotoContinuiamo il nostro discorso sulla crisi economica che attanaglia varie parti del ciclismo e intervistiamo Giuseppe Saronni, gran capo della Lampre-ISD; lo intervistiamo non perché la sua squadra sia in difficoltà, ovviamente, ma per avere un giudizio sull'attuale stato delle cose, dipanando il nostro sguardo su quanto avvenuto negli ultimi anni, e su quanto ci si può attendere dal futuro.

Che tipo di spartiacque è stato l'avvento del Pro Tour, nel 2004?
«Ha rappresentato sicuramente una novità importante, che ha portato più professionalità e anche diritti, relativamente per esempio al diritto di partecipare alle gare più importanti, laddove in precedenza era tutto legato alla discrezionalità degli organizzatori. In tal modo è più facile pianificare una stagione, anche in relazione al rapporto con gli sponsor, e ciò è un grande vantaggio. I budget necessari a gestire una squadra nella massima serie sono aumentati, è vero, ma il fatto che i bilanci siano controllati da Ernst&Young è comunque una garanzia per tutti, e anche questo lo considero un vantaggio».

I budget sono aumentati: di quanto?
«Se mediamente prima del Pro Tour le migliori squadre costavano dai 3 ai 4 milioni di euro, in questi ultimi anni siamo quasi al raddoppio: 7-8 milioni per stare nell'attuale World Tour, una crescita dei costi dovuta principalmente all'aumento degli organici e degli impegni: prima potevano bastare anche una quindicina di atleti per un team della massima divisione. Ora ne contiamo da 25 a 30, e più corridori vuol dire più stipendi, ma non solo: anche più personale che li segua. Se da una parte abbiamo il diritto di partecipare a determinate corse, dall'altra abbiamo il dovere di presenziare ad altre, che magari un tempo potevano non interessarci. Quindi aumentano i costi delle trasferte, aumentano i mezzi necessari a far fronte a una doppia o tripla attività, aumentano gli uomini a supporto (direttori sportivi, meccanici, massaggiatori)».

In tutto ciò, abbiamo visto un vistoso calo delle squadre italiane di alto livello. Come mai?
«Il crollo è secco, ora siamo solo due team nel World Tour, è una tendenza in atto da qualche anno. Come ho detto prima, le norme più stringenti dal punto di vista dei bilanci hanno anche creato una grande selezione, solo poche squadre possono superare il vaglio delle tante richieste dell'UCI. Però noto che non solo l'Italia, ma un po' tutti i paesi storici del ciclismo, nel vecchio continente, sono in difficoltà. Stanno emergendo realtà diverse, dall'America all'Australia, e soprattutto all'Est Europa, in cui vedo un notevole movimento dietro a squadre come Katusha o Astana. Credo che tutto ciò sia abbastanza inevitabile, l'interesse si sposta, si allarga anche a paesi nuovi e con molte potenzialità».

Per il 2012 però anche i "nuovi" paesi vedono qualche difficoltà. Clamoroso il caso degli Stati Uniti, in cui una Highroad, la squadra più vincente degli ultimi 4 anni, chiude i battenti; in cui la RadioShack è costretta a fondersi con la Leopard; e in cui solo un anno fa due team all'apparenza colossali come Garmin e Cervélo si sono a loro volta fusi. Significa che l'UCI ha fatto male qualche conto, puntando molto sul continente americano?
«Significa che il World Tour - ripeto - è tanto costoso, per tutti. E significa che squadre anche importanti, con forti potenzialità, per rimanere in questo circuito devono fare i salti mortali. Questo è un fattore di novità, in effetti, e ci dice che di anno in anno ci ritroviamo con uno scenario in evoluzione. Mi sia consentita però una parola sulla RadioShack, che in realtà ha visto lei la confluenza della Leopard; ovvero di una squadra il cui management doveva insegnare a tutti noi come si fa ciclismo, e invece dopo 6 mesi è andata subito in difficoltà...» [Il riferimento è chiaramente al team manager italo-lussemburghese Flavio Becca, ndr].

Anche dal lato corse la situazione non è rosea, con tante gare storiche che chiudono e il baricentro geopolitico che si sposta progressivamente. Ha senso questa politica dell'UCI, ovvero mettere in concorrenza nuove prove (ma che magari non avranno un ampio respiro) con corse che in Europa non riescono ad avere grande partecipazione? Ciò non determina il rischio di una perdita di interesse nei confronti del ciclismo in paesi che da sempre sono il volano di questo sport, e la conseguenza non può quindi essere un generale impoverimento - su tutti i fronti - del ciclismo stesso?
«Non voglio fare il critico a tutti i costi, certo le cose elencate sono sotto gli occhi di tutti. Il ciclismo è lo sport con il maggior numero di appuntamenti lungo l'arco di una stagione, bisogna cercare il massimo equilibrio tra tutti questi eventi».

C'è un fattore Cina all'orizzonte? Voi con la Lampre da diversi anni avete esplorato quel mondo, partecipando a corse come il Qinghai Lake...
«...e non solo, fummo anche i primi a ingaggiare tre corridori cinesi. Da quello che ho visto e che vedo, le potenzialità sono molte, ma ancora c'è una grande distanza col ciclismo europeo. Se gli investimenti arriveranno al momento giusto e per progetti validi, e se quel che già è in piedi crescerà, tra qualche anno vedremo i frutti. Di sicuro c'è interesse a investire nel ciclismo, in Cina».

L'hanno capito anche UCI e ASO che si son tuffate a pesce per contribuire alla nascita del Tour of Beijing, che tra l'altro l'anno prossimo sarà la gara di chiusura del World Tour.
«Sì, UCI e ASO hanno capito che lì ci sono delle risorse e ci si sono buttate, ma andiamoci coi piedi di piombo: un conto è una breve corsa a tappe, pochi giorni di gara, tutto un altro discorso è raggiungere un livello di primo piano. Ripeto, c'è volontà e interesse, ma ancora i cinesi non hanno trovato il modo giusto per incanalare queste risorse e queste energie».

E tra le cose che mancano, mettiamoci anche il pubblico: il citato Tour of Beijing era un po' malinconico, da questo punto di vista.
«Dal punto di vista organizzativo non ci possiamo assolutamente lamentare, dalla sicurezza dei percorsi all'ospitalità per le squadre, tutto è stato predisposto nel migliore dei modi. Il poco pubblico... c'è stata probabilmente una carenza di comunicazione intorno all'evento, ma non dimentichiamoci una cosa fondamentale: non è che in Cina la gente si muove con la stessa libertà con cui ci muoviamo noi. Sì, in teoria è così, ma la pratica è un po' diversa, e lo stesso vale per il tifo, o per la possibilità di esporre striscioni o di fare scritte sulla strada».

Problemi evidentemente secondari per l'UCI, che ha già deciso per tutti. Ma c'è talmente poca democrazia in quell'ente che voi attori del ciclismo avete quasi paura a parlare, per timore forse di rappresaglie...
«È vero, e vorrei rimarcare come a livello internazionale i gruppi sportivi, che poi sono quelli che mantengono il movimento grazie ai sacrifici degli sponsor, non hanno alcun potere decisionale, e questa è chiaramente una situazione di forte squilibrio».

Cosa potrebbe fare, nel vostro caso, la Federazione Ciclistica Italiana per aiutarvi?
«Aiutarci? Veramente è lei che chiede aiuto a noi... ad esempio, il ct Bettini è animato da voglia di fare, di organizzare degli stage, dei miniraduni, ma le risorse sono poche e non ci si potrebbe muovere, se non fossimo noi a prestare alla Nazionale tutto quanto, dai mezzi alle risorse umane. In FCI non c'è un'organizzazione autonoma che gestisca queste cose».

Per il presidente Di Rocco pare però che il problema principale sia quello di preparare il terreno alla sua rielezione per un terzo mandato. È veramente questa la priorità per il ciclismo italiano, o si dovrebbe pensare anche e soprattutto ad altro?
«Conosco Renato da tanto tempo, credo che quello che era in suo potere fare l'abbia fatto... magari a volte tirandosi la zappa sui piedi per un eccesso di ricerca di credibilità (una ricerca di cui comunque gli va dato atto), allorquando vengono adottate nei confronti dei corridori delle misure che altrove non sono previste» [E qui il riferimento è ad Alessandro Petacchi, fatto fuori dalla Nazionale per una vecchia sospensione, ndr].

Intanto, come dicevamo prima, tante corse sono in sofferenza... il movimento femminile è ai minimi termini... le squadre dilettanti sono decimate rispetto a 20 anni fa... Non dovrebbe passare dalla Federazione un rilancio in grande stile del nostro ciclismo?
«Sì, si dovrebbe cercare di tirar fuori delle risorse importanti. In questo in effetti la FCI di Di Rocco è stata forse carente, non è cioè riuscita a fare da collettore per grandi investimenti pubblicitari».

Tornando a voi squadre: in cosa è possibile (o necessario) migliorare per stare al passo coi team più alla moda?
«Andiamo sempre a parlare di risorse: più alto è il budget che hai a disposizione, migliore è l'organico che ti puoi permettere, o gli esperti che puoi mettere al servizio della squadra. Ora, non è che io non sappia quali sono gli elementi di maggior qualità, in tutti i settori del ciclismo; ma chiaramente i migliori costano di più. Però per noi, che disponiamo di un budget medio e dobbiamo confrontarci con gente che ha il doppio se non il triplo delle nostre risorse, essere lì tra le prime 6 o 7 squadre del mondo, è una soddisfazione enorme».

C'è una grave crisi economica, in rapporto alla quale il ciclismo diventa probabilmente troppo costoso. In quest'ottica, il futuro lo vede più roseo o più nero?
«Le difficoltà ci sono sempre state, in realtà, io da 20 anni faccio questo mestiere e in un modo o nell'altro i problemi sono sempre quelli: gli sponsor, il budget... andare avanti è una bella sfida, oggi più che mai. Mettiamoci pure che noi italiani stiamo vivendo un periodo di vacche magre dal punto di vista dei risultati... Non è facile restare a questi livelli; per dire, spero con tutto il cuore che Amadio trovi un nuovo sponsor, o che convinca la Liquigas a continuare a investire nella sua squadra anche dopo la scadenza degli attuali contratti, a fine 2012: ma ripeto, non è facile, per nessuno».

Tra i vari salti mortali a cui sono chiamati i gruppi sportivi, se n'è da un paio d'anni aggiunto un altro: l'occhio buttato ai ranking di merito dei corridori, per ingaggiare quelli che possono portare punti utili per restare (o per entrare, se parliamo di squadre Professional) nel World Tour. Non avremmo mai creduto di trovare due iraniani, sconosciuti ai più, tra gli oggetti pregiati del ciclomercato...
«Beh, vincono i circuiti continentali e allora sono contesi da molte squadre. Ma non è l'unico caso, lo stesso Vinokourov che continua a correre per garantire ancora i suoi punti all'Astana è lampante. In generale, questa è una logica che non mi è mai piaciuta e non mi piace nemmeno ora».

Poi accadono paradossi del tipo che il bravo gregario che però non si piazza mai (perché ha lavorato lontano dal traguardo), proprio perché non ha molti punti ha meno chance di trovare un ingaggio d'alto livello rispetto ad atleti esotici e carichi di punti Continental, ma - pur con tutto il rispetto per loro - destinati a non lasciar traccia nel ciclismo d'élite, a non essere minimamente utili alle squadre che li ingaggiano.
«Ripeto, questa logica, che era stata abbandonata per qualche anno, non mi piace. Torneremo a vedere corridori alla frutta, ma strapagati perché hanno ancora molti punti in dote. Purtroppo».

Parlando in qualche modo di mercato, possiamo allacciarci alla Lampre che verrà. Il vostro mercato è chiuso?
«La squadra è delineata, punteremo sempre sui nostri capitani Cunego, Scarponi e Petacchi, e aspetteremo ulteriori segnali da ragazzi che sono cresciuti molto in questo 2011, come Bole, Ulissi, Malori. Con gli ingaggi di Cimolai, Stortoni, Viganò, Graziato, Anacona, Possoni e Cattaneo, credo che abbiamo rinforzato un po' tutti i reparti. Qualche uomo in più per Petacchi, qualche giovane interessante per le salite... e poi arriveranno, tramite lo sponsor ISD, 5 ucraini, ma stiamo ancora valutando quali saranno questi corridori».

Le bici?
«Confermate le Wilier».

Il primo raduno stagionale?
«Dal 4 al 7 dicembre ci incontreremo come ogni anno a Boario Terme, sede storica dei nostri raduni».

Infine, non possiamo non chiederle com'è la sua situazione all'interno della squadra, in relazione all'inchiesta di Mantova e all'annuncio, da lei fatto qualche mese fa, sulla possibilità di farsi da parte.
«Sono tranquillissimo, quell'inchiesta è un grande equivoco e questo sta emergendo ed emergerà compiutamente. Non mi sento assolutamente parte in causa, la Lampre non si sente coinvolta in nulla».

Marco Grassi

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