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Ciclomercato 2011-2012: HTC si ritira, riflettiamoci su - Un'analisi di cause e conseguenze

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Dopo quattro anni la Highroad chiuderà i battenti © Highroadsports.comLa notizia è stata confermata nella serata di ieri e da subito ha scosso il mondo del ciclismo: la HTC Highroad chiuderà i battenti a fine stagione dopo che nello scorso weekend sono fallite le ultime trattative per trovare uno sponsor che sostituisse HTC. Dopo questo fatto urge una profonda riflessione da parte di tutti gli addetti ai lavori, dai corridori ai vertici dell'UCI passando per i manager delle squadre, perché se un team vincente e spesso preso ad esempio per gestione e qualità si è ritrovato a fare questa fine significa che da qualche parte c'è qualcosa che non va.

Dall'anno della sua creazione dalle ceneri della T-Mobile, a fine 2007, la Highroad ha collezionato la bellezza di 484 vittorie (tra cui spiccano due Sanremo, un Mondiale a Crono e svariate tappe in tutti e tre i Grandi Giri) con la possibilità di superare il muro delle 500 da qui a ottobre ma questo non è bastato ad attirare nuovi investitori; perché? Sicuramente la crisi economica che sta investendo il mondo intero ha avuto la sua influenza, ma quella vale per tutti e il motivo principale va ricercato altrove. Magari c'è stato anche qualche errore di gestione o di previsioni visto che a inizio 2008 si diceva che la penale pagata dalla T-Mobile per rompere subito l'accordo avrebbe garantito almeno due o tre stagioni, ma anche questo non basta.

Negli ultimi anni il ciclismo professionistico ha visto un notevole aumento dei costi senza sia stato fatto alcunché per contrastare questo fenomeno, anzi. La situazione ha cominciato a degenerare quando hanno iniziato a nascere formazioni dai budget stellari come Katusha, Sky e Astana o ancora Leopard, BMC e la stessa HTC: queste squadre per riuscire ad ingaggiare i pezzi più pregiati hanno spostato sempre più in alto l'esborso per gli stipendi; se poco tempo fa i corridori che guadagnavano più di un milione di euro erano poche eccezioni adesso c'è chi di milioni ne prende (o ne chiede) tre. Anche la creazione di strutture sempre più avanzate e professionali ha avuto un'influenza importante sui bilanci. E se già di base non è facile trovare qualcuno disposto ad investire sette, otto o anche più di dieci milioni di euro all'anno, in periodo di difficoltà economiche globali l'impresa è impossibile.

Il problema è che da altre parti non è stato fatto nulla per contrastare questo aumento dei costi e, anzi, l'impressioni che si ha è che l'UCI abbia fatto di tutto per favorirlo incentivando la creazione di questo tipo di team. Da Aigle è sempre stata elogiata l'organizzazione anglosassone ma più che sulle parole ci fermiamo sui fatti: potremmo citare quindi i costi elevatissimi per assicurarsi una licenza Pro Tour o quelli per finanziare metodologie antidoping come il passaporto biologico; e poi c'è la novità fresca dell'anno passato dell'introduzione del ranking di merito per l'assegnazione delle licenze che viene calcolato sulla rosa sotto contratto per l'anno successivo ma contando i punti delle ultime due stagioni. Tutto sembra fatto apposta per aumentare a dismisura il divario tecnico tra le squadre super ricche e quelle più piccole togliendo ogni possibile riconoscimento a quest'ultime: quando però lo sponsor si ritira o il magnate di turno si stanca del "giochino" anche per le grandi sono dolori.

Potremmo sbagliarci ma il caso Highroad potrebbe essere un primo segnale, a cui si uniscono le fusioni tra team (Garmin-Cervélo e Omega-QuickStep) o un Tour of California che solo due giorni fa ha saputo del rinnovo della sponsorizzazione di Amgen, che le politiche da Pat McQuaid e tutta l'UCI non sono poi così solide come si sperava sul lungo periodo e che qualcosa andrebbe rivisto nell'organizzazione del ciclismo moderno, perché se si vuole proseguire su questa strada almeno andrebbe studiata una nuova divisione globale degli incassi a partire magari dai diritti televisivi: rispetto ad una decina di anni fa, infatti, non è cambiato quasi nulla e le squadre hanno ancora budget costruiti quasi esclusivamente sulle sponsorizzazioni, e dal merchandising non ci si possono aspettare miracoli. Una divisione dei diritti televisivi, come auspica da tempo il team manager della Garmin (squadra in cerca di un secondo sponsor per la prossima stagione) Jonathan Vaughters, darebbe alle squadre un sostegno certo in più che renderebbe possibile quindi i contatti anche con aziende che non vogliono investire cifre esorbitanti seppur la visibilità che dà il ciclismo è sempre una delle maggiori in campo sportivo.

Questi sono tutti temi fondamentali per il futuro del ciclismo e sicuramente ci ritroveremo di nuovo a parlarne perché se scompaiono le squadre e vengono cancellate le corse noi a cosa ci possiamo appassionare?

Sebastiano Cipriani

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