Sicurezza in bicicletta: Airbag per ciclisti? Si può progettare - Ma FCI e UCI dormono su questo tema
Versione stampabileIl tema della sicurezza per i ciclisti è più che mai all'ordine del giorno, dopo i fatti che hanno funestato gli ultimi mesi del 2010, dalla morte del corridore Under 23 Thomas Casarotto all'incredibile incidente che in dicembre costò la vita a 8 cicloamatori a Lamezia Terme. Del resto i dati, diffusi dalla Polizia Stradale (presente in forze al Giro), ci dicono che, contrariamente a quanto avviene per tutti i mezzi di trasporto, per quel che riguarda le biciclette, sono in aumento sia gli incidenti che - purtroppo - i morti: da 288 a 295 passando dal 2009 al 2010.
Un dato che corre in parallelo con quello dei pedoni vittime di incidenti stradali (o meglio, di investimenti), e che ci dice quanto stiano diventando via via più malsicure le nostre strade (non ci dilunghiamo sul potere - sempre più strapotere - di automobili più grosse, pesanti, ingombranti, prepotenti rispetto ancora a pochi anni fa).
Chiaro che dovrebbe essere il mondo del ciclismo a svolgere una funzione di sensibilizzazione rispetto a questo problema, e non si può dire che qualcosa non si muova, in effetti. In questo Giro le iniziative in tal senso sono molteplici. Ad esempio il Pullman Azzurro, allestito (già dal 1998) dalla Polstrada e legato al progetto Biciscuola promosso da Rcs e Gazzetta: ogni giorno due classi di studenti di scuole elementari e medie saranno ospitate sul pullman in questione (per assistere a una lezione di educazione stradale); o ancora, al villaggio d'arrivo c'è uno stand, allestito sempre dalla Polizia Stradale, in cui si farà divulgazione (anche attraverso dei brevi cartoni animati realizzati dalla Goodyear) e verranno distribuiti ai ragazzini dei gadget a tema.
Infine la Rai trasmetterà dei minispot (denominati "pillole di sicurezza stradale"), con alcuni ciclisti (tra cui Cancellara e Pozzato) per richiamare l'attenzione sulle regole della circolazione stradale in bicicletta. La Federciclismo ha collaborato alla realizzazione di queste pillole, ma per l'ente di riferimento del ciclismo italiano, questa presenza rappresenta effettivamente il minimo sindacale.
Si potrebbe fare di più, molto di più, e ce lo spiega Vittorio Cafaggi, manager della Dainese, azienda che produce caschi, tute e vari accessori per motociclismo e sci. Della categoria "vari accessori" fa parte anche un airbag (da indossare) per i motociclisti. Si tratta di una sorta di "armatura" (il link è molto esplicativo: http://www.dainese.com/index.php/it_it/d-air) che si gonfia appena un sensore percepisce la caduta in corso (i tempi sono ovviamente rapidissimi: si parla di 30 millisecondi, ovvero oltre 30 volte meno di un secondo). Le parti più sensibili vengono così protette all'istante, e i danni fisici che deriverebbero dall'impatto sono decisamente attutiti.
Un sistema che - dice Cafaggi - «ha richiesto 10 anni di investimenti e ricerca per essere messo a punto». Ma un sistema che - diciamo noi - ci permette di sognare una simile applicazione anche per i ciclisti. E il rappresentante dell'azienda conferma che «non è per niente fantascienza immaginare un simile sistema protettivo per chi va in bici».
Cosa ci vorrebbe perché si provasse a studiare un meccanismo salvavita per chi pedala? Facile e difficile rispondere: «Grandi investimenti e un mercato che possa rispondere alla proposta», dice Cafaggi, ma come tutti sanno volere è potere: «Quando la FIS, Federazione Internazionale Sci, ha visto che stavamo realizzando l'airbag per i motociclisti, ci ha subito messi all'opera per la realizzazione di un simile strumento anche per le discipline veloci dello sci alpino. Addirittura ci hanno detto "voi fatelo, e noi cambieremo i regolamenti per rendere obbligatorio l'uso di tale attrezzatura"».
Tra l'altro, un'altra cosa abbastanza risaputa è che «tutto quel che passa dallo sport agonistico finisce poi inevitabilmente nell'uso comune»: facilissimo immaginare che i corridori professionisti - qualora spinti (non vogliamo usare il termine "obbligati") a proteggersi con uno strumento del genere, sarebbero i migliori testimonial perché l'uso si diffondesse anche tra i pedalatori della domenica.
Ma - e veniamo al conquibus - un'impresa di questo tipo può mettersi in moto solo se si mettono in moto per prime le istituzioni. E invece? «Noi saremmo molto interessati ad aprire una collaborazione del genere, ma dal ciclismo nessuno ci ha mai chiesto niente». Nessuno gli ha chiesto niente, dice il manager della Dainese, e sì che gli stimoli in tal senso non sono mancati, nei confronti della FCI, in questi ultimi mesi (e ci mettiamo immodestamente nel novero di chi ha già suggerito a Renato Di Rocco di muoversi nella direzione di un simile strumento, peraltro sperimentato in qualche modo anche da un'azienda svedese: ne parlammo qui).
Ecco, il presidente federale era presente, ieri, alla conferenza stampa in cui la Polizia Stradale ha illustrato tutto quello di cui abbiamo qui scritto. Ha anche detto di averne ricavato nuove idee: speriamo che, finalmente, si riesca ad attivare per fare un vero passo in avanti nella direzione della sicurezza dei ciclisti; e che coinvolga in un tale progetto l'UCI, sempre pronta a investire enormi somme nell'antidoping, e il CONI (che sempre mena vanto del perseguimento della salute degli sportivi).
Perché un tale progetto è non solo realizzabile, ma necessario, di modo che tra qualche anno non ci debbano più essere quasi 300 famiglie (solo in Italia) che piangano una persona cara immolatasi sull'altare della passione per la bicicletta.