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Lo studio: Ecco come cambia la geografia dei GT - 4 nazioni agli albori, il boom dagli anni '80

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Dopo aver analizzato nel dettaglio, ieri, le potenzialità dei singoli (in quanto plurivincitori o pluripiazzati, per esempio) nei grandi giri, oggi spostiamo l'attenzione sul peso che le varie nazioni hanno avuto nella storia del ciclismo da GT. Per capire, dati alla mano, quanto e come il ciclismo si è evoluto, in questo secolo abbondante, dal punto di vista geografico (e quindi anche un po' geopolitico, se vogliamo), e in che direzioni si stia spostando l'asse portante - a livello tecnico - di questo sport.

 

Partiamo dalla più scontata ma doverosa statistica: la somma delle vittorie e quella dei podi (vittorie comprese) nazione per nazione. Il predominio dell'Italia è tangibile e nettissimo: 80 vittorie italiane contro le 51 francesi, le 45 spagnole e le 32 belghe. Dal 2005 (anno dell'ultima vittoria di Armstrong) gli Stati Uniti sono al quinto posto di questa graduatoria, con 11 successi (su appena 21 podi: un'incidenza altissima), davanti a Svizzera (10), Lussemburgo (6), Russia (5), Germania e Olanda (4), Irlanda (3), e infine Svezia, Colombia, Danimarca e Kazakistan (1). Non ha ancora vinto un grande giro l'Australia, che tra le altre nazioni è quella che mostra la più impetuosa crescita negli ultimi anni (insieme alla Gran Bretagna, anch'essa ancora a 0).
Il dato dei piazzamenti conferma l'Italia di gran lunga al primo posto (con 245 podi); poi la Spagna, che qui scavalca la Francia (157 contro 127), e quarto sempre il Belgio (con 83). Le nazioni europee di vecchia o anche antica tradizione (Svizzera, Olanda, Lussemburgo, Germania) occupano i posti successivi, coi già citati Stati Uniti a inserirsi tra esse; quindi, dalla Russia in giù, troviamo nazioni che sono emerse nell'ultimo ventennio-trentennio, o che in passato hanno vissuto dei periodi particolarmente felici (l'Irlanda di Roche e Kelly, o la Svezia di Petterson possono essere buoni esempi).

 

Il secondo grafico scorpora anno per anno l'elenco dei corridori vincitori di grandi giri che si sono presentati, nel tempo, al via di una stagione. Dopo un inizio tutto di marca francese (il Tour è il primo GT ad essere nato), l'Italia ha decisamente fatto la parte del leone, arrivando a schierare in un paio di occasioni (1926 e 1936) addirittura 7 vincitori di grandi giri: a nomi stracelebri (Girardengo, Binda, Brunero, Bottecchia, Belloni, Guerra) si affiancavano corridori come Calzolari, Enrici, Marchisio, Camusso, Pesenti o Bergamaschi. Il Belgio guidato da Philippe Thys assurse al ruolo di seconda forza negli anni '20, poi fu la Francia di Leducq e Magne a riavvicinare l'Italia. Non stupisce il dato, visto che, in tempi di autarchia, il Giro era una questione tutta italiana, mentre al Tour i padroni di casa dovevano fare i conti con la concorrenza dei vicini belgi (i quali, non avendo un territorio che permettesse l'organizzazione di un grande giro, elessero a proprio GT proprio il Tour) o lussemburghesi (presenti nella linea "Altre" con Faber e poi Frantz nel primo quarantennio preso in esame.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale emerge prepotente la Spagna, lanciata dalla (ri)nata Vuelta e sui livelli di un'Italia che, dopo il ritiro di Bartali (dal '55) si vedrà affiancare e superare dalla Francia di Bobet, Robic e del primo Anquetil. Il Belgio in questo periodo è praticamente inesistente, mentre la Svizzera vive il suo primo e più alto picco, con Koblet, Kübler e Clerici (negli anni '90 ci saranno Rominger e Zülle a riportare in classifica gli elvetici).
Il Belgio torna protagonista con Merckx e i suoi discepoli nel corso degli anni '70, mentre negli '80 sono Francia (Hinault, Fignon...) e Spagna (Delgado, Lejarreta...) a mettere il muso davanti. È il periodo, quello a partire dalla seconda metà degli anni '80, in cui cresce la voce "altri", visto che arrivano al successo paesi come l'Irlanda o la Colombia, mentre gli Usa entrano con Lemond in una classifica in cui continueranno ad essere presenti col solo Armstrong anche negli anni 2000. La Spagna, dopo il breve regno di Indurain, è tornata a crescere, così come l'Italia, tra fine anni '90 e anni 2000: arriviamo a oggi con l'Italia che schiererà 5 vincitori di GT nel 2011 (Basso, Cunego, Di Luca, Garzelli e Nibali), la Spagna (forse) 2 (Contador e Sastre), la Russia e il Kazakistan uno a testa (Menchov e Vinokourov).

 

Più variegata la situazione attuale se prendiamo in esame i piazzamenti tra i primi 3 e non le sole vittorie. Anche qui l'andamento è simile al precedente grafico (Francia all'inizio, poi tanta Italia col Belgio che fa capolino, poi una più decisa presenza italiana in testa nel secondo dopoguerra, in un dominio messo in discussione più che altro dalla Spagna degli ultimi 10 anni. Qui bisogna analizzare più a fondo la voce "Altri", visto che nel 2011 saranno proprio loro ad essere più numerosi: un russo (Menchov), un tedesco (Klöden), un ucraino (Popovych), due kazaki (Vino e Kashechkin), un venezuelano (Rujano), un lussemburghese (Schleck), un australiano (Evans) e uno slovacco (Velits). L'ultima volta che le nazioni meno blasonate avevano un numero preponderante di "podisti" al via fu a cavallo del 1990, nel periodo che - prima di quest'ultimo lustro - possiamo indicare come quello in cui ci fu la maggior esplosione di "mondializzazione" nei risultati dei grandi giri: era il periodo in cui fecero irruzione i colombiani (ben 4 "podisti" al via nel '90 e nel '91), di appena pochi anni precedente al momento in cui gli europei dell'est iniziarono a partecipare alle corse professionistiche, e in cui si moltiplicavano pure le nazioni (in seguito alla frantumazione dell'URSS): ecco quindi lettoni, russi, polacchi a tenere in alto il livello per le realtà meno tradizionali del ciclismo.
Accanto al sorgere di nuove nazionalità sui podi, va segnalato anche il pauroso svanire di movimenti che erano stati una costante nel ciclismo dei grandi giri sino a pochi anni fa. Il Belgio (che dal '78 non vince un GT) è praticamente scomparso con gli anni '80 (Bruyneel è l'autore del sussulto tra il '96 e il '98); l'Olanda, che pure ha vinto pochi GT, dopo la grande presenza degli anni '80 (Zoetemelk e Kuiper, poi i vari Breukink e Rooks), in cui fu anche la terza forza per un certo periodo (alle spalle di Italia e Spagna), non dà più segnali dal '97 (l'ultima stagione di Breukink); la Francia, a sua volta, dopo Jalabert e Virenque non ha più proposto nulla, ed è a 0 dal 2005.
Va d'altronde detto che in questi ultimi 30 anni, quelli della grande espansione (o, se vogliamo, del grande ricambio), emerge comunque un dato non del tutto rassicurante: movimenti (non parliamo quindi di nazioni vissute sull'exploit di un singolo) che per un certo periodo hanno dato l'impressione di essere molto forti (la Colombia o l'Irlanda) si sono poi praticamente esauriti, e anche gli stessi Usa promettevano molto più (ai tempi di Lemond e Hampsten) di quanto non abbiano poi mantenuto (principalmente per merito di Armstrong). Quindi, con alcune nazioni scomparse dal panorama, e altre passate come meteore luminose, possiamo affermare che - stante la presenza, confermata e ancora forte, di Italia e Spagna - non ci sono oggigiorno altri movimenti in grado di fare la parte del Belgio o della Francia che furono. È forse configurabile in questo un po' di senso di fallimento delle politiche espansionistiche dell'UCI (ovvero: abbiamo portato il ciclismo in tanti posti nuovi, ma senza che ivi sia nato un movimento forte), o è semplicemente ancora presto per vedere i frutti di tali politiche (chissà, un domani l'Australia, o la Gran Bretagna, potrebbero assurgere a...)?

 

Il quarto grafico fa immediata chiarezza sul numero di nazioni rappresentate, nel tempo, nel gotha del ciclismo da GT. Se al principio erano al massimo 4 le nazioni vincenti o piazzate (Italia, Francia, Belgio e Lussemburgo), l'oligopolio fu rotto negli anni '30 da corridori come il tedesco Stöpel, lo spagnolo Cañardo o lo svizzero Amberg, che "presentarono" nuove nazioni al ciclismo d'élite. Un primo importante spartiacque fu ancora la guerra, dopo la quale divenne quasi una regola avere 6 nazioni rappresentate tra i piazzati e 4-5 tra i vincitori: e se Spagna e Svizzera si sono confermate come presenza attiva per tutti gli anni '50, sono state Olanda (comparsa per la prima volta nel '47) e Lussemburgo (con Gaul) ad infoltire la schiera.
Gli anni '60 hanno portato un ulteriore passetto in avanti, con quota 6 tra i vincenti toccata per la prima volta nel '63 (rappresentate Italia, Spagna, Francia, Lussemburgo, Belgio e Germania), e quota 7 tra i piazzati divenuta praticamente la regola (con nazioni come Austria, Irlanda, Olanda a fare - o rifare - capolino). Fino all'alba dei '70, comunque, il perimetro del grande ciclismo è rimasto piuttosto limitato. L'ingresso della Svezia nel '71 allargò il quadro alla Scandinavia, e si potè così poi toccare per la prima volta il record di 7 nazioni vincitrici rappresentate (avvenne nel '72 con Italia, Spagna, Francia, Belgio, Germania, Olanda e Svezia).
Se gli anni '70 hanno proposto l'arrivo dell'Europa più settentrionale (ma anche del Portogallo, con Agostinho che iniziò a salire sui podi di Vuelta e Tour), da metà anni '80 abbiamo assistito alla prima ondata di mondializzazione, con l'arrivo del continente americano (Usa nell'85, poi Colombia nell'86), e con una presenza costante dei movimenti anglosassoni (Gran Bretagna e Irlanda, eccole dall'86). E così la linea delle nazioni rappresentate da corridori piazzati salì fino al tuttora non superato scalino numero 11, un livello mantenuto praticamente anche per tutti i '90, e piallato nell'ultimo decennio più da questioni di doping che da un'effettiva contrazione della crescita geografica del ciclismo.
Oggi ci presentiamo al 2011 con di nuovo 11 nazioni al via tra i "podisti" (non avveniva dal 1997), mentre tra i vincitori sventoleranno solo 4 bandiere, livello (in media con l'ultimo lustro) che ci riporta al ciclismo di cinquant'anni fa, non certo a quello in espansione del precedente trentennio. Per la cronaca, le 4 nazioni "vincenti" al via saranno Italia, Russia, Spagna e Kazakistan; a cui si affiancano, per arrivare alle 11 "piazzate", Germania, Usa, Ucraina, Venezuela, Lussemburgo, Australia (entrata nel 2008 con Evans) e Slovacchia (che esordisce grazie a Velits).

 

Gli ultimi grafici con linee vogliono valutare il "peso" dei corridori vincenti o piazzati schierati dalle nazioni al via di ogni stagione. Abbiamo quindi sommato i palmarés di tutti i corridori presi in esame nazione per nazione, ed ecco che le vittorie e i podi presentati ci danno ulteriori spunti di riflessione. I picchi più rilevanti sono sempre legati a uno (o più) plurivincitori o pluripiazzati, ecco quindi che Binda spinge in alto l'Italia negli anni '30 (picco nel '36 sia tra le vittorie che tra i piazzamenti, qui col determinante supporto di Girardengo, Guerra, Camusso, Martano - 3 podi a testa - e 11 altri corridori con uno o due podi), Coppi e Bartali fanno lo stesso tra i '40 e i '50 (i due crolli post-'54 e post-'59 sono proprio in corrispondenza della fine della carriera dei due campioni), Anquetil porta in alto la Francia e ce la tiene fino al '69, quindi Merckx spinge il Belgio al record di 15 vittorie (toccato nel '78 con 11 vittorie di Eddy e il contributo singolo di Bracke, Van Impe, Pollentier e Maertens), prima che Hinault (prima con Thévenet, poi con Fignon) regali alla Francia l'ultimo periodo di dominio, esauritosi nel 1986 col ritiro del Tasso.
Gli ultimi vent'anni vedono il crescere dei palmarès spagnoli (Delgado più Indurain), e una discreta tenuta dell'Italia, fino a giungere a un 2011 in cui i nostri metteranno in gioco 6 vittorie e 13 podi, contro il 6+18 della Spagna, il 3+5 della Russia (o meglio, di Menchov...), e l'1+3 del Kazakistan. Solo tra i piazzati i 2 podi tedeschi, i 3 americani, lussemburghesi e australiani, e i singoli terzi posti di Ucraina, Venezuela e Slovacchia.

 

In totale, e come emerge anche dal primo grafico, sono 25 le nazioni che almeno una volta hanno visitato un podio di GT. Volendo fare il punto dell'anno in cui tali nazioni sono arrivate a tale traguardo, così mettiamo in colonna:
1903 Francia
1908 Lussemburgo
1909 Italia
1912 Belgio
1932 Germania
1935 Spagna
1937 Svizzera
1946 Olanda
1957 Austria
1962 Irlanda
1970 Svezia
1974 Portogallo
1984 Usa
1985 Gran Bretagna, Colombia
1993 Lettonia, Polonia
1994 Russia
1995 Danimarca
2002 Lituania
2003 Ucraina, Kazakistan
2005 Venezuela
2007 Australia
2010 Slovacchia

 

Infine, non rimane che esaminare il rapporto tra padroni di casa e ospiti nei tre grandi giri. Lo facciamo con l'aiuto di una serie di aerogrammi qui di seguito.

Il Tour è giustamente noto come la corsa più internazionale di tutte, una fama confermata dai dati che qui presentiamo e che possono essere riassunti da una percentuale totale del 67% di "podisti" stranieri contro il 33% di "galletti". Anche nel periodo di massimo dominio dei padroni di casa, ovvero gli albori, gli stranieri hanno trovato uno spazio non trascurabile (il 22% dal 1903 al 1915, sull'onda di tre successi belgi e uno lussemburghese e di vari piazzamenti di contorno). Tra le due guerre il dato si inverte, 8 vittorie per Belgio, 3 per l'Italia e 2 per il Lussemburgo a fronte di 8 affermazioni francesi sono la cartina di tornasole di un rapporto di forza che si fissa in una percentuale di presenze estere al 71% nel ventennio in esame.
Dopo la guerra il dato si attenua, tenuto parzialmente a bada da Anquetil, Bobet, Poulidor, e da Robic, Walkowiak, Aimar, Pingeon; ma siamo pur sempre al 59% di presenze straniere sul podio; meno di quel che sarà dall'epoca di Merckx a quella di Hinault, periodo in cui il Tasso (5 successi), con l'aiuto di Thévenet e Fignon (due a testa), guida la Francia a una quota non superiore al 35% (dall'altra parte tra Cannibale, spagnoli e olandesi, si ottiene un notevole 65%).
Infine gli ultimi 5 lustri, quelli della scomparsa della Francia dal Tour, eccettuato un miserrimo 6% frutto dei podi di Jean-François Bernard e Laurent Fignon ancora negli anni '80, e di un paio di presenze di Virenque nei '90. Se prendessimo il dato a partire dal 1998, avremmo un desolante (per i padroni di casa) 0%. Niente male per chi si picca di aver inventato il ciclismo dei grandi giri.

 

Va molto meglio all'Italia, che nella storia del Giro ha occupato il 71% dei posti sui podi contro il 29% degli stranieri. Fino al 1950 (anno del primo successo estero, ad opera dello svizzero Koblet), solo Marcel Buysse nel 1919, Jean Alavoine nel '20 e Jef Demuysere nel '32 e nel '33 si affacciarono fra i tricolori che imbandivano i quartieri alti delle classifiche. La timida internazionalizzazione del secondo dopoguerra ha portato gli stranieri al 37% negli anni '50 e '60 (grazie principalmente agli svizzeri prima, e a Gaul e Anquetil poi); ma nemmeno il ciclone Merckx ha indotto gli ospiti a raggiungere la maggioranza, se è vero che anche in tutti gli anni '70 (anzi, dal '68), e fino al 1986, la maggioranza parlò ancora italiano, in un rapporto di 60 a 40.
Per avere un periodo decente (un decennio) di predominio straniero bisogna arrivare alle stagioni dal 1987 al 1996, quando a un'iniziale scarsità di atleti italiani adatti ai GT si saldarono poi, dopo il '90, il tutto sommato breve interregno indurainiano, e l'esplosione dei corridori dell'Est Europa. Ci ha pensato l'ultimo quindicennio a riportare l'ago della bilancia dalla parte italiana, col 67% di presenze nostrane sui podi di un Giro scosso per un troppo breve periodo dal ciclone Pantani, e poi tornato per diversi anni a una dimensione abbastanza provinciale e quindi casalinga. Le ultime stagioni, coi successi prestigiosi di Contador e Menchov e i podi di Schleck e Sastre hanno ridato alla corsa rosa una patina di internazionalità, pur senza portare il dato "stranieri" del periodo oltre il 33%.

 

La Vuelta è invece il GT più equilibrato dal punto di vista del rapporto tra presenze casalinghe e straniere sui suoi podi: vincono per 59% a 41% gli spagnoli, che però già agli esordi (quando era presumibile un più marcato dominio dei padroni di casa) lasciavano oltre un quarto dei podi agli ospiti. Dopodiché, dal '55 al '97, abbiamo avuto una sostanziale parità, suddivisa, nei due ventenni, in una leggera supremazia iberica tra il '55 e il '76 (quando i tanti talentuosi spagnoli, guidati da Bahamontes, Jiménez e Pérez Francés prima, da Fuente, Ocaña e Tamames poi, limitarono le scorribande principalmente belghe e francesi, ma anche olandesi e italiane, a un 44%); e in una discreta rivincita degli ospiti tra il '77 e il '97 (lanciati verso il 57% da 36 podi su 63, impreziositi dalle vittorie di Maertens, Hinault, Zoetemelk, Battaglin, passando poi da quelle di Caritoux, Herrera, Kelly, Giovannetti, finendo alla cinquina svizzera degli anni '90 - 3 vittorie per Rominger, 2 per Zülle - e all'ultima affermazione francese in un GT, con Jalabert nel '96).
La "reconquista" spagnola, annunciata da una crescita dei piazzamenti casalinghi nella prima metà dei '90, si è poi compiuta nelle ultime 13 edizioni, in cui la Vuelta, spostata stabilmente a settembre, ha visto tornare spesso gli uomini di casa sul gradino più alto del podio, ma non solo: in ben quattro occasioni su 13 abbiamo avuto podi interamente spagnoli ('98, '02, '03 e '04), in altre 7 edizioni ('99, '00, '01, '05, '07, '08 e '09) la presenza spagnola si è comunque attestata sui due terzi del podio. Tutto ciò ha configurato questo 72% che ci segnala la notevole supremazia (non espressa nei periodi coincidenti né dagli italiani al Giro né tantomeno dai francesi al Tour) con cui dal 1998 a oggi i sudditi di Re Juan Carlos hanno caratterizzato la corsa principale del loro paese.

Marco Grassi
Giuseppe Cristiano

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