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Punti di vista: «5 Monumento, il resto riempitivi» - Così Zomegnan. ASO pensa il contrario...

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Angelo Zomegnan, direttore unico di RCS Sport © BettiniphotoPer i futuri estensori delle biografie di quel diavolo di Angelo Zomegnan, ci corre l'obbligo di segnalare una presa di posizione abbastanza interessante espressa dal direttore del Giro d'Italia l'altra sera a Pompiano (Brescia) nel corso di una conferenza incentrata sugli aspetti organizzativi del ciclismo e facente parte di un ciclo di incontri ("I Mestieri del Ciclismo") che si sta tenendo nell'Auditorium comunale della località lombarda (lunedì 22 il prossimo appuntamento, sul tema della Comunicazione, ospite tra gli altri Auro Bulbarelli).

Che ha detto Zomegnan di tanto rilevante da farci drizzare le antenne? Ecco qua: «Per me le classiche sono solo 5, ovvero le Monumento; tutto il resto è un riempitivo». Un parere senz'altro legittimo, ma che espresso dal secondo più importante organizzatore mondiale, si colora di molte tinte, e alcune decisamente poco brillanti.

[Disclaimer: ovvio che Zomegnan, ogni volta che lancia una provocazione, lo fa ridendo sotto i baffi e immaginandosi già le parole che verranno scritte in editoriali come questo; diciamo che ci piace stare al gioco e replicare]

La cosa che fa più impressione nell'asserzione angeliana è la mancanza di visione prospettica. La quale dovrebbe invece essere suggerita proprio dal corpus tutt'altro che monolitico formato dalle cinque classiche cosiddette Monumento: Milano-Sanremo, Giro delle Fiandre, Parigi-Roubaix, Liegi-Bastogne-Liegi e Giro di Lombardia. Se dobbiamo approfondire la questione, dovremmo dire che la Liegi, di questo club esclusivissimo, non ha sempre fatto parte, essendo stata in passato meno importante della Freccia Vallone o financo della Parigi-Bruxelles. Ciò significa che è sempre possibile che una corsa rientri in un ristretto novero d'eccellenza di cui prima non era parte (oppure che ne esca): nulla si può escludere, quando si fa un discorso di lungo termine.

Ma se invece ci parametriamo a dati più realistici, dovremo comunque mettere in discussione l'assunto secondo cui dopo i monumenti non c'è nulla che valga la pena difendere, perché tutto è «un riempitivo».

Intanto sarebbe curioso scoprire se Zomegnan direbbe le stesse cose andando a parlare coi manager del Monte dei Paschi, quelli che gli permettono di confezionare quella corsa da lui definita «Fiandre e Roubaix messe insieme», ovvero l'Eroica, o Strade Bianche che dir si voglia: lo sanno, i banchieri senesi, che investono un bel po' di soldini solo per un riempitivo?

Il punto è che Zomegnan parte dal presupposto (chiarito sempre a Pompiano) che «meglio conti virtuosi che corse virtuali», ricomprendendo evidentemente nel novero di queste ultime, gare come il Giro del Lazio, che erano organizzate da RCS Sport e che si sono perse per strada, cancellate dall'incuria delle amministrazioni locali ma anche dei "padroni".

Cos'è che rende una gara centrale nel calendario ciclistico? La collocazione, per esempio: se non ci sono altre corse importanti a fare concorrenza in quel giorno, ciò è senz'altro un buon inizio. Poi il campo dei partecipanti: se ci sono almeno metà dei 20 migliori ciclisti al mondo, siamo su una buona strada. Quindi il percorso: se contiene il giusto mix di imprevedibilità, difficoltà e begli scenari, eserciterà di suo un fascino non anonimo. Infine la storia, ovvero: è chiaro che una corsa che si disputa da un secolo ha un blasone maggiore di una che è alla terza edizione.

Ancora negli anni '90 il Giro del Lazio rispondeva bene o male a tutti i requisiti sopraelencati: come dimenticare quei magnifici arrivi in circuito su Viale del Colosseo, costeggiando le rovine di Roma? (Qui parte un minuto di pausa-rimpianto).

Che si può dire di un'azienda in possesso di marchi forti, che non riesce a rilanciarli in nessun modo, e anzi se ne disfa appena possibile? Che quantomeno qualche dubbio lo solleva. Se un Giro del Lazio diventa un peso per una società come RCS Sport, bisogna chiedersi se RCS Sport ha fatto tutto quel che poteva per evitare che così fosse. E cosa fa oggi, per far sì che quell'evento torni ad essere una voce in attivo nel bilancio aziendale, e non solo il nome di una gara del passato?

RCS Sport ha un fenomenale veicolo promozionale, che è il Giro, alla cui ruota dovrebbe attaccare tutto il resto, non solo Sanremo e Lombardia: pretendere le dirette televisive (in Belgio si fa praticamente per ogni gara, perché in Italia non si può?) per una serie di corse che negli anni hanno visto praticamente svanire tutto il loro appeal, vendendo i diritti in pacchetto con quelli del Giro è un'impresa evidentemente superiore alle possibilità degli uomini rosa. I quali del resto hanno anche scarsissimo potere nell'influenzare pure i contenuti del giornale di famiglia, che negli anni ha ridotto via via lo spazio per il ciclismo (richiamando le bici in prima pagina spesso solo per questioni di doping).

Se ci fossero le dirette, quanti sponsor in più ci sarebbero (a coprire anche i costi di trasmissione, nel caso)? E con disponibilità economiche maggiori, quanti campioni si potrebbero schierare ai nastri di partenza, innescando quel circolo virtuoso di interesse che ridarebbe lustro al Giro del Lazio della situazione? (Perché non è che la Milano-Torino se la passi meglio: anch'essa è scomparsa; e non è che il sopravvissuto Giro del Piemonte rappresenti un appuntamento atteso com'era un tempo).

Intendiamoci, non tutto dipende da RCS Sport: se l'UCI piazza in calendario nuove corse a far concorrenza spietata alle vecchie, è chiaro che tutto diventa più difficile; ma non saremmo severi, se avessimo visto che RCS Sport le provava tutte per nobilitare le sue corse storiche, mettendoci magari l'impegno e la solerzia che ha messo per accorrere ai richiami del neosponsor danaroso (la banca citata prima) e inventarsi di sana pianta una nuova corsa (per carità, non è certo questo il problema).

Invece l'azienda che organizza il Giro si è comportata esattamente da azienda. Azienda che ha delle scadenze coi suoi azionisti e a quelle pensa, molto più che a un discorso di salvaguardia del patrimonio sportivo che si trova a gestire. In fondo gli azionisti chiedono dividendi, e quelli li garantisce il Giro, senza troppo doversi preoccupare di badare a quel che succederà tra 10 o 20 anni: e rieccoci alla prospettiva miope, quella che guarda all'immediato e non si cura del resto. Rieccoci al discorso di Zomegnan, che apre e chiude il cerchio: in questo sistema non si può essere romantici, e allora ci sta che uno dei massimi dirigenti del ciclismo mondiale sia sprezzante nei confronti di ciò che non porta fieno in cascina. I rami secchi vanno tagliati senza lacrime.

E pazienza se i dirimpettai che ci guardano di là dalle Alpi, ovvero i modelli mai raggiungibili di ASO (quelli del Tour, per intenderci), vanno in tutt'altra direzione rispetto a ciò che fa RCS: loro si espandono in maniera clamorosa, hanno preso recentemente in carico robetta come la Vuelta a España o il Delfinato, e questo non a spese di corse che già organizzavano: immaginiamo che fine avrebbero fatto un Critérium International, o un Tour de l'Avenir, o un Tour de Picardie, in mano agli uomini rosa? Una Parigi-Tours? "In compenso abbiamo l'Eroica"...

Ma non solo: Amaury Sport, vedendoci più lontano di tutti, va in esplorazione di nuovi continenti: ben felice di aver messo in piedi il Tour du Qatar, ha da quest'anno replicato col Tour d'Oman; ha un partenariato col Giro della California. Non solo! Sono talmente pazzi, questi francesi, da investire anche nel ciclismo femminile, con la Freccia Vallone e il Tour du Qatar riservato alle Lady del pedale. RCS Sport su questo fronte? Per un po' fece la Primavera Rosa (corrispettivo femminile della Sanremo), poi niente più e amen.

Qual è il senso - per dire - del Tour d'Oman, se non quello di drenare risorse laddove possono essere drenate, per arricchire l'intero circuito e rafforzare il proprio marchio, imponendolo anche su nuovi mercati? Il Tour si ingrandisce, il Giro diventa più piccolo (e non sarà la partenza da Washington a invertire la rotta, se tale trovata non è inscritta in un progetto di più ampio respiro che, ahinoi, manca del tutto). Niente paura: arriveremo, prima o poi, a vedere che magari ASO rileverà anche le corse rosa: non è un incubo post-peperonata, ma un'idea che trova forza appena si guardano i trend in atto.

Zomegnan, lontano da questi foschi pensieri e tutto preso nel giocattolo che si è fatto su misura dei propri gusti e che non vede l'ora di scartare a maggio 2011 (ci riferiamo al percorso del Giro), può permettersi quel velo d'arroganza con cui sminuisce ciò che non è monumentale. Tanto, nessuno gli chiederà conto di niente.

Marco Grassi

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