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Una Vuelta senza scosse - Vince Laiseka, classifica invariata | Cicloweb

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Una Vuelta senza scosse - Vince Laiseka, classifica invariata

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Non ci siamo, non ci siamo ancora. Sarà che i quattro galletti di vertice più o meno si equivalgono, sarà che le pendenze non permettono sfracelli, ma qui non si muove foglia.
Anche oggi, esattamente (o quasi) come ieri, Heras, Menchov, Mancebo e Sastre (va bene, ieri ha perso 20", cosa volete che sia), ma mettiamoci dentro anche Carlos García Quesada che è pur sempre il quinto della generale, sono arrivati tutti insieme. E sì che si trattava dei due "tapponi" pirenaici, con tanto di arrivi in salita.
Ma c'è qualcosa che non va. I percorsi sono in effetti davvero troppo facili. È come se gli organizzatori avessero pensato intensamente a Valverde (tanto per fare un nome), quando si sono messi al tavolino per inventarsi questa Vuelta. Siamo al primo turno di riposo, e senza grossi sussulti la corsa spagnola ha bruciato già tre dei suoi arrivi in salita. E dei quattro pretendenti (García è più lontano) è in maglia oro proprio il meno scalatore, quel Menchov che è comunque stato fin qui ammirevole.
Per dirla tutta, il cambio della guardia c'è stato: Heras ha vestito il simbolo del primato dopo il primo arrivo in quota, Menchov se l'è ripreso dopo la cronometro. Ma tutto vive sul filo di pochi secondi, con ordini di grandezze che sarebbero perfetti per tante delle corse a tappe minori che punteggiano il calendario spagnolo, non certo per la regina delle prove del paese di Re Juan Carlos.
Tra l'altro, noterella tra parentesi: che scarso attaccamento, da parte dei sudditi, nei confronti di questa regina! Il pubblico latita, un po' come le emozioni forti. E fa tanta malinconia veder passare il terzo grande giro (per importanza) per chilometri e chilometri di strade deserte, senza un'anima sui marciapiedi, né sulle salite (il che è ben più grave). Balza agli occhi come la Vuelta abbia dei reali problemini di immagine: dovranno studiare, gli esperti di marketing di Unipublic, per piazzare meglio il loro prodotto in futuro.
Chiusa la parentesi, torniamo alla corsa. Ha vinto un vecchiaccio, Roberto Laiseka, 36 anni compiuti a giugno, già due volte vittorioso in tappe alla Vuelta, e una volta pure al Tour (nel 2001). Aveva già messo il naso fuori, in questi giorni, ma oggi gli è andata bene. Ha attaccato quando ancora la situazione tra i più forti era in via di evoluzione, e così si è avvantaggiato nel momento in cui il forcing del solito bravissimo Scarponi (per Heras) si faceva meno pressante. Ha guadagnato così la manciata di secondi che gli hanno permesso di respirare e di accodarsi ai big, una volta che quelli sono rientrati, e approfittando delle pendenze meno severe man mano che si saliva, ha salvato la gamba per sparare tutto a poco più di 2 km dalla vetta.
Un'azione ineccepibile, che gli ha regalato un successo chissà quanto sperato. Pesa, comunque, il fatto che all'arrivo non ci siano più abbuoni: perché 20" avrebbero fatto comodo a chiunque, di quei cinque alle spalle di Laiseka, vista la difficoltà di staccarsi a vicenda. Invece non c'era il premio al vincitore (né al secondo, né al terzo), e quindi non era troppo problematico lasciar andare via l'uomo, una volta assodato che si sarebbe arrivati in cima tutti insieme.
E così andiamo ad occuparci del problema: è senz'altro bello che la situazione sia ancora così incerta, ma meglio sarebbe se ci fossero anche dei contenuti tecnici validi, che invece latitano. Nessuno attacca seriamente, nessuno stacca nessuno, le difficoltà altimetriche non sono eccezionali, e così il risultato sono due tappe di alta montagna in cui i protagonisti della classifica stanno sempre insieme.
Una situazione che a Menchov in maglia oro piace parecchio, ci mancherebbe. Finché Heras è tenuto a bada, problemi non ne sussistono, per il russo. Il quale continua in ogni caso a non sbagliare niente: non si scompone mai, non va mai in debito d'ossigeno, non si spaventa di restare senza compagni di squadra al fianco. Corre di rimessa, ma in maniera perfetta. Si appiccica alla ruota di Heras e non bada più di tanto ai movimenti di Mancebo e Sastre, più lontani.
Heras, da parte sua, a questo punto dovrebbe aspettare i Lagos de Covadonga e le loro pendenze importanti (quelle sì, finalmente) per dar fondo alle sue energie. Onestamente, sembrava più in palla una settimana fa, ma ora ha tre giorni, davanti a sé, in cui riordinare le idee e caricarsi il giusto.
Anche se, fossimo nei Liberty, non trascureremmo la tappa di venerdì, quella che precede i Laghi. Ci sono salite da metà frazione in poi, ma alla fine il profilo altimetrico digrada, e c'è pianura, ma con insidioso strappetto fino all'arrivo: in quest'equilibrio in cui le idee buone potrebbero essere vendute a peso d'oro, quella di sorprendere la Rabobank in una tappa a prima vista interlocutoria potrebbe essere la trovata giusta: lavorare bene sulle prime salite per isolare Menchov, e poi affondare magari prima ancora che si arrivi allo strappo conclusivo. Ma non succederà, per quella insopprimibile tendenza dei ciclisti moderni a rinviare sempre i momenti che possono essere decisivi.
Mancebo e Sastre, ovviamente, non sono né saranno convitati di pietra. Hanno dimostrato di poterci stare, alla tavolata dei favoriti, e oggi il Csc ha dimostrato di aver recuperato certe incertezze evidenziate ieri. Ha anche attaccato, ma - gambe sue o pendenze inadatte - non ha fatto la differenza. Mancebo, sazio del successo di Arcalís, oggi ha solo controllato, badando di fare lui l'andatura per lunghi tratti, onde evitare che qualcuno gli scattasse a tradimento, mettendolo in difficoltà con i cambi di ritmo che lui poco gradisce.
Sia come sia, speriamo che qualcosa, almeno a Covadonga, intervenga a variare un minimo lo spartito. Dovrà essere così, perché sennò quando? In ogni caso, gli organizzatori faranno bene a far tesoro dell'esperienza di quest'anno, per non incappare in futuro in certi errori di valutazione (chissà quanto non voluti, poi) sulla durezza del percorso.

Marco Grassi    



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