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La lunghezza di un sospiro - Plaza vince la crono per 6 decimi

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Se solo questa cronometro avesse avuto per la classifica un qualche valore superiore alla lotta per il sesto posto, oggi avremmo vissuto una giornata indimenticabile.
Buttate un occhio agli intertempi: una lotta senza quartiere tra i primi quattro della classifica (García Quesada, poco incline alla pugna contro il tempo, era più defilato), con l'inserimento nel mucchio selvaggio dell'ottimo outsider Plaza Molina. E i cinque, per tutto il tempo della cronometro, sono stati vicini, vicinissimi, appena pochi secondi a separare le varie posizioni parziali.
Il motivo del giorno era l'attacco di Mancebo a Sastre per un posto sul gradino più basso del podio; Paco è partito molto bene, secondo alcuni avvantaggiato dalla prima parte del percorso, in leggerissima salita, secondo noi incapace oggi di gestirsi al meglio: ha dato troppo in avvio, e dopo è rimasto senza troppe frecce al suo arco, riducendosi a dover difendersi nella seconda parte della frazione.
Tanto lanciato è partito Mancebo che dopo 15 chilometri gli erano tutti dietro: non solo il diretto concorrente Sastre, che comunque aveva parato alla grande il colpo (pagava solo sette dei 58 secondi che il rivale avrebbe dovuto recuperare); ma anche il capoclassifica Heras, che in avvio ha tenuto a riposo il turbo; anche Menchov, specialista molto più di lui; anche Plaza, che fino al passaggio di Mancebo stava dominando il panorama dal primo posto.
La seconda parte del percorso ha schiacciato le posizioni in appena sette secondi: qui il capolavoro di Heras, che, su un terreno di gara apparentemente a lui ostico (nasce scalatore, lo ricordiamo), è riuscito a ribaltare la situazione e a portarsi davanti. Ma se la maglia oro avesse potuto fermarsi e ragionare una mezz'oretta su quei distacchi provvisori, non si sarebbe fatto pie illusioni: Menchov ad appena 1", Sastre e Plaza a 6", Mancebo a 7": non c'era proprio niente di che cullarsi, e infatti Heras non l'ha fatto, ma ha continuato a spingere, sapendo che gli altri avrebbero fatto lo stesso.
Sastre per esempio ha continuato a macinare la strada, per niente appagato dall'intuizione che Mancebo non l'avrebbe più staccato (da lì, dal km 26, Paco avrebbe dovuto guadagnare un minuto tondo in 13 chilometri. Forse SuperMan, senza kriptonite tra i piedi, avrebbe potuto farcela; Mancebo, che è uno normale - essendo ciò considerabile, in questo campo, anche una bella dote - proprio no).
Heras era inattaccabile nella generale, quindi Menchov poteva al più ambire ad un pur gratificante terzo successo di tappa, e ci si è impegnato parecchio. Plaza, la solita variabile ancora indefinita, il parvenu che sgomita per sedere al tavolo dei potenti e che tanto per cominciare scavalca strada facendo Sevilla al sesto posto. Proprio il più lontano, quello più fuori dai giochi, ha estratto dal cilindro un tratto finale che ha sfiancato gli altri. E però bisogna dire che quando si vince una prova di quasi 40 chilometri per la pochezza di 6 decimi di secondo, vuol dire che oltre alla bravura si è ricorsi anche a un po' di fortuna.
Non gusta, per carità: ma se un battito di ciglia fosse durato un attimo in più, ora staremmo raccontando un'altra storia. Va bene così, ovviamente: Heras ha dalla sua l'intera Vuelta (l'intera QUARTA Vuelta), Plaza sta riuscendo faticosamente ancora adesso a non farsi più confondere col suo omonimo, David Plaza Romero, che però è assai più anziano di lui e sta per mettere piede a terra. Invece il giovane Rubén ha appena 25 anni, e se nei prossimi tempi accompagnerà al suo talento nelle crono anche una maggiore resistenza in salita, potrà scrivere pagine rilevanti nella corsa di casa (per sfondare anche fuori dalla Spagna ha bisogno di un altro po' di esperienza).

Marco Grassi    

 

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