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La Spagna mangia tutto - Tappe e classifica dominate da atleti di casa

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Venticinque sui primi ventisette: è il dato, in qualche misura stupefacente, che emerge guardando la classifica generale della Vuelta a tre giorni dalla conclusione, e riguarda l'incidenza, sul totale dei corridori della prima parte della graduatoria, di quelli spagnoli. Proprio così, 25 dei primi 27 della classifica giocano in casa; e gli unici stranieri sono - dobbiamo esserne orgogliosi, a questo punto - Stefano Garzelli, dodicesimo, e Damiano Cunego, ventunesimo.
Una supremazia che si spiega in diversi modi: intanto - la più facile delle risposte - gli spagnoli tengono in maniera particolare alla loro corsa, e molti di loro incentrano la stagione sulla Vuelta, preparandosi a puntino per arrivarci al massimo della condizione. Al contrario, molti dei big stranieri vanno a correrla con l'obiettivo di affinare la forma in vista del Mondiale, e può succedere (e quest'anno è successo: oggi hanno abbandonato Landis, che era più o meno in classifica, Vinokourov e il nostro Moreni) che decidano di ritirarsi strada facendo, quando ritengono che il fondo sia già a buon punto. E così lasciano spazio ai sudditi di Re Juan Carlos.
Altre spiegazioni circolano pure, qua e là. In primis si parla di una presunta troppa indulgenza, proprio in Spagna, relativamente al doping attuato dagli atleti di casa. Ma non ce la sentiamo di avallare questa tesi, o per lo meno non è così che si giustificano gli sviluppi di un intero movimento: è vero che Heras, maglia oro alla Vuelta, è colato a picco al Tour, in quella Francia che è certo severissima in materia di antidoping. Però Mancebo nella Grande Boucle c'era, e ha chiuso con un onorevolissimo sesto posto, mentre qui è quarto e, per quanto ormai difficile come eventualità, potrebbe ancora vincere la Vuelta; e oltralpe c'era anche Sastre, ottavo a Parigi e per il momento sesto alla Vuelta.
Oscar Pereiro è stato decimo al Tour (e undicesimo al Giro 2002), ma qui non c'è, e al Giro è stato Garate a chiudere sempre al decimo posto (e due anni fa fu quarto, mentre alla Vuelta ora è venticinquesimo). Pochi esempi per dire che la Spagna dispone di un buon gruppetto di corridori mediamente forti nelle corse a tappe, e che non è proprio impossibile immaginare che alcuni di essi sappiano dare il meglio proprio nella gara più importante del loro calendario.
Insomma, vedere 25/27esimi della classifica egemonizzati da corridori spagnoli non ci sconvolge certo più di assistere al passaggio periodico di vere e proprie meteore del pedale. Specificando: potremmo tendere a dubitare più dei singoli che di un intero movimento, e quindi rifiutiamo di parlare di doping di stato.
Detto questo, Pascual Rodriguez ha oggi vinto con merito una bella tappa, in capo a una fuga iniziata con dieci uomini e conclusasi con lo spagnolo (e dagli!) che ha battuto in uno sprint a due il colombiano Parra (non c'era proprio storia). Gli uomini di classifica hanno un po' battagliato, per merito soprattutto di Mancebo, che ha provato ad attaccare su due salite, senza riuscire a fare il vuoto: il suo coraggio è nettamente superiore alla sua forza (ricordiamo che al Tour fu l'unico, a parte Ullrich, a provare un attacco ai danni di Armstrong).
Dopo i tentativi del campione nazionale spagnolo, è stato Perez Fernandez a stanare Heras, con un contropiede che per qualche chilometro ha avvantaggiato i primi tre della classifica (anche Valverde, in precedenza un po' in sofferenza, ha saputo rispondere). Il percorso, che poi scendeva e spianava, ha permesso poi il ricongiungimento fra tutti i protagonisti, e quindi ogni discorso è rinviato. A domani? Più probabile che anche la terzultima tappa, seppur con un'altimetria interessante, risulti più interlocutoria che altro. Appuntamento a sabato, allora, al Puerto de Navacerrada: Heras avrà lì il suo matchpoint. Se lo fallisce si consegna, nella crono di Madrid, alle grinfie di Santiago.

Marco Grassi

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