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Tour de France 2015

L'unica tappa a cronometro individuale di questo Tour è la prima. Una toccata e fuga fra le strade di Utrecht, 13.8 chilometri. Sono pochi, ma sono effettivamente dedicati agli specialisti del cronometro. Niente a che vedere con i barocchi ghirigori di alcune crono cittadine recenti. Qui, nella città in cui Cartesio compì i suoi studi, si può calcolare bene una potenza costante da tenere stampata sull'SRM, senza tema di tratti lenti o curve strette che spezzino trooppo il ritmo. C'è sì un largo giro tutto su strade cittadine, sempre in buon asfalto, con molte curve, ma tutte a raggio piuttosto ampio. Al più, nella parte centrale del percorso, tre angoli retti a rallentare, ma non a costringere ad una ripartenza brusca. Tuttavia, come in molte altre città nordiche, abbondano spartitraffico, piccole aiuole, piazzole segnaletiche di vario genere, restringimenti della carreggiata in corrispondenza delle numerose ciclabili che solcano il tessuto urbano. Non paiono sufficienti ad impensierire e smorzare il ritmo dei più potenti passisti che, forse, in alcuni tratti potrebbero fare i conti con un transennamento piuttosto ristretto rispetto all'ampiezza della sede stradale. Snobbate le raffinatezze del centro storico, con il suo altissimo Duomo, la corsa va a farsi battezzare nel centro economico della città, all'ombra delle due torri ellittiche Rabobank, dove verrà data la partenza. Un prologo non breve, di quelli che vanno comunque presi d'assalto, che non permettono di amministrare alcunché, ma che non si risolvono affatto in un amen. Saranno 15 minuti circa sul filo dei 50 all'ora con un susseguirsi di curve veloci ma poche, forse nessuna ripartenza, solo rilanci. Regolare, chiara come la luce e i colori di questi cieli.

Un nome evocativo si trova sul libro della corsa in corrispondenza della prima tappa in linea. Terra di mare, la Zeeland, e c'è un luogo, un'ampia piattaforma sabbiosa artificiale, di regolazione del funzionamento della grande diga marittima, al largo dell'estuario della Schelda, dove è posizionato il provocatorio arrivo di questa frazione. Ardito, slanciato. In sostanza, in mezzo al mare. Gli ultimi due chilometri, sulla larga ed espostissima strada che passa sopra la suddetta diga marittima. Neeltje Jans il toponimo dell'isolotto artificiale, a richiamare il nome della misteriosa dea Nehalennia, protettrice dei marinai, ma più in generale dei viaggiatori dell'oltremare dell'oltre-umano. Cosa che nel cuore del ciclista alberga fin dall'infanzia. Non c'è un punto di questa singolare tappa che superi i 10 metri di altitudine. Negli ultimi 80 km, ovvero da Rotterdam in poi, probabilmente nemmeno si trovano tratti riparati dal vento poderoso del Mare del Nord. E più ci si avvicina all'arrivo, più si entra nel mare, attraverso i ponti che uniscono lembi di terra colonizzata, coltivata, protesi tra i flutti. Un viaggio verso la luce chiarissima di queste terre, ma una tappa oscura, quanto ai possibili sviluppi. Antenne diritte e grande tensione per il vivissimo pericolo di ventagli, sbandate, cadute. Parrebbe una tappa ottimamente prestantesi a strategie d'attacco. Prendere le montagne con un bonus da gestire sui diretti rivali. La strategia va fatta cominciare qui.

La terza tappa è invece totalmente belga. Dal chiarore degli sconfinati e piatti orizzonti olandesi, alle scure colline ardennesi, ricoperte di foreste, solcate da spartani sentieri d'asfalto, tracciati a la fauve, selvaggi. Dopo il prologo lungo, la tappa del vento, un'altra frazione che potrebbe scolpire significativamente la classifica. Si cambia genere, ma la tensione per il terzo giorno consecutivo è ancora a livelli di guardia. Da Anversa il Belgio viene attraversato diagonalmente verso sud-est, con gradualità, nelle difficoltà. È una classica in tono minore, con 4 côte importanti nel finale. Bohissau, Ereffe, Cherave e il Muro di Huy. Tutte già note sulle strade della Freccia Vallone. Se Bohissau è complessivamente la più lunga, con il suo immancabile falsopiano in cima, le ultime tre si fanno gradualmente più ravvicinate. La Côte de Bohissau apre le danze a 50 chilometri dalla fine, con il suo chilometro e mezzo piuttosto regolare, ma seguito da una lunga serie di saliscendi, senza pace. Le ultime tre salite ricalcano il giro finale dell'ultima edizione della Freccia. Se la Côte d'Ereffe, 1 chilometro e mezzo sul 9-10%, a 16 dall'arrivo, sembra suggerire meno facilmente strategie d'attacco, la Côte de Cherave, a un colpo d'occhio dall'arrivo, 5 km comprendenti discesa e risalita a Huy, e soprattutto il suo iperbolico rettifilo al 15% sotto il severo sguardo delle grigie case ardennesi, è un trampolino decisamente più accattivante per tentare un anticipo. A un corridore in ottima condizione potrebbe anche bastare un fiammata, 5 secondi qui sopra, per approcciare il Muro con un vantaggio sufficiente ad arrivare in cima. Il finale è celeberrimo nella sua durezza. Senza tuttavia un importante dislivello fatto in precedenza, potrebbe essere attaccato da più lontano, senza correre il rischio della più classica delle piantate. Il problema, e il reale interesse della tappa, è che qui, in caso di apnea finale, a differenza della Freccia, il cronometro scorre inesorabile.

Anche la quarta tappa di questo Tour può incidere dei solchi sulla superficie probabilmente già sconnessa della classifica generale. Dopo cronometro, vento e muri, la quarta fatica è quella bruta, barbarica, del pavé. É un remake: e, alle volte, i remake risultano scoloriti rispetto alle opere prime. Va subito detto che dopo la battaglia campale dello scorso anno molti potrebbero aver preso delle misure, altri potrebbero aver carpito dei trucchi, e la riduzione dei chilometri complessivi di pavé, quella del numero di settori, e infine anche quella della difficoltà complessiva degli stessi settori, potrebbero forse ridurre l'impatto di questa tappa. Il cambio della sede di arrivo ha comportato anche la non riedizione dei tratti più famosi (Carrefour de l'Arbre, Mons-en-Pévèle, Sars-et-Rosieres su tutti) e selettivi. Altri numeri, tuttavia, portano in un'altra direzione. Innanzitutto la lunghezza complessiva della tappa, allungata di ben 70 chilometri per arrivare alla considerevole distanza di 223. Un problema in più in caso di giornata ventosa o piovosa. Inoltre, i 6 tratti di pavé, complessivamente meno arcigni, sono tuttavia concentrati in 30 chilometri circa. In particolare, il terzultimo (Saint-Python) di 1500 metri e il penultimo (Quiévy) di ben 3700 sono praticamente contigui, per circa 6 chilometri quasi ininterrotti di pavé. L'ultimo settore, più isolato, è distante 10 chilometri da questi e 13 dall'arrivo. In sostanza è avvenuto uno stiramento della tappa e una concentrazione del tratto selettivo, poco più di 30 chilometri. Si esce sempre dai settori in pavé con tanto acido lattico nelle gambe e per questo motivo settori ravvicinati sono sempre risultati più selettivi di settori duri isolati. Ci sono più di 50 chilometri quasi rettilinei, nel cuore della tappa, dopo il primo sparo a salve dell'enigmatico settore di pavè numero 7, 1800 metri piazzati a 113 chilometri dall'arrivo, forse a sparpagliare un gruppo compatto, a punteggiare la strada di gruppetti all'inseguimento. A considerevole distanza, i 6 settori decisivi di cui sopra. Infine, 13 chilometri discretamente ondulati per raggiungere il traguardo, a Cambrai, in posizione centralissima. Ultimi 100 metri dove si riaffacciano, beffardi, i cubetti di porfido di place Aristide Briand, Nobel per la Pace nel 1926. Sapore di sarcasmo.

La quinta tappa potrebbe risultare il primo giorno di relativa tregua per gli uomini di classifica dopo tre frazioni tese e rischiose. La pianura francese è ovviamente un susseguirsi di leggere ondulazioni sotto forma di strappetti ripetuti del dislivello di pochi metri disseminati senza soluzione di continuità lungo tutta la tappa. Si attraversano le paludose zone di uno dei più sanguinosi ed inutili sacrifici di vite umane della storia, la Battaglia della Somme. In filigrana si potrebbe anche leggere un altro commento sarcastico alle vicende di questi primi cinque giorni di Tour. Le battaglie snervanti dei quattro giorni precedenti potrebbero benissimo rivelarsi una vittoria di Pirro, esattamente come lo fu l'esiguo avanzamento costato migliaia e migliaia di vite in quell'estate del 1916. Le vere battaglie del Tour sono ancora di là da venire, e qui si dovrebbero cominciare a tirare le prime somme rispetto alle energie forse inutilmente spese nei primi quattro giorni di corsa. Difficile dire se questo inizio sfibrante avrà già orientato la corsa oppure si sarà rivelato una trappola per corridori troppo frettolosi di mettere fieno in cascina. Sta di fatto che nemmeno la terna di tappe più probabilmente dedicate alle ruote veloci che si inaugura ad Arras promette troppo recupero. Metri di vera pianura infatti se ne incontrano ben pochi. Le strade, a parte il finale, non delle più scorrevoli; incroci, curve, ripartenze, restringimenti di carreggiata. Il percorso va a sfiorare gli immensi, monumentali e psicologicamente desolanti cimiteri di guerra delle diverse nazioni belligeranti della Grande Guerra. Infine, come un miraggio, sopraelevata rispetto al piano urbano appare l'immensa cattedrale di Amiens, la più imponente dell'intera nazione. L'arrivo, nella città d'adozione di Jules Verne, tuttavia, è posto all'ombra dell'austera Tour Perret, con i suoi 110 metri d'altezza, uno dei primi grattacieli d'Europa e contraltare laico-positivista nello skyline della città, rispetto alla monumentale cattedrale. Le strade di questo finale sono infine molto larghe, con una ampia semicurva a sinistra ai 500 metri dal traguardo.

Tappa ancora meno tranquilla della precedente, seppur tutto sommato abbordabile per ruote veloci, scattisti o passisti da grandi fughe. La Costa d'Alabastro, fronte francese delle bianche scogliere di Dover, con le parimenti abbaglianti rocce biancastre a strapiombo sulle scure, fredde acque del Canale della Manica, sarà bordeggiata pressoché nella sua totalità negli ultimi 120 chilometri della sesta tappa. I dorsi irregolari di queste alte costiere vanno dunque saliti e scesi molte volte. Sulle carte della frazione sono fissati tre Gpm di quarta categoria, lontani dal traguardo, uno all'uscita della mondana Dieppe, uno poco oltre, a Pourville-sur-Mer, l'ultimo a 29 km dall'arrivo, a Tilleul. Un dato va tenuto presente: negli ultimi 120 chilometri di andirivieni tra costa e immediato entroterra ci sono 1200 metri di dislivello complessivo. Trattasi inoltre di zona costiera piuttosto esposta alle brezze marine e infine, per raggiungere l'arrivo, dal porto di Le Havre bisogna risalire a 75 metri in meno di un chilometro per il borgo di Ingouville. Una côte che ricorda da vicino un piccolo Cauberg: strada larga, due semicurve ampie con pendenze vicine al 10%, una retta finale e un tratto di falsopiano di circa 500 metri per raggiungere la linea d'arrivo. Arrivo di grandissima esplosività a coronamento di una tappa ondulata. Potrebbero benissimo tenere sprinter di categoria speciale, da arrivi difficili, ma anche grandi cacciatori di classiche. Per gli uomini di classifica riposo assai attivo, le antenne vanno tenute ben tese. Il vento inoltre viene segnalato quasi costantemente proveniente da sud-ovest, quindi del tutto contrario alla direzione del percorso. Porta l'intenso, acre profumo di mare, insieme a puzza di bruciato.

Secondo arrivo di tappa di questo Tour più chiaramente dedicato ad uno sprint di gruppo. Ce ne saranno, forse, altri due nella seconda settimana, tutti da conquistare, dopo i Pirenei, per sprinter tenaci. Poi solo gli Champs-Élysées, ma per ambire a quella vittoria occorrerà superare tutte le montagne. Tappa francese, come sempre moderatamente ma indefinitamente ondulata. Dalla Normandia si passa alla più bellicosa Bretagna, le cui tignose e tradizionaliste popolazioni furono spesso fieramente riottose ai governi centrali francesi dal medioevo in poi. Abbondano dunque le fortificazioni, delle quali una delle più scenografiche si trova nella cittadina d'arrivo, una sorta di Carcassonne bretone, dominata dalle mura turrite della sua fortezza distesa su una superficie di quasi 2 ettari. Particolarità della tappa, gli ultimi 15 chilometri sono pressoché tutti a favore, leggera discesa su strade buone e larghe. Dura dunque qualche chilometro in meno la fatica peggiore degli attaccanti di giornata. Elemento da calcolare attentamente in caso di fuggitivi ancora in avanscoperta, che avranno questo sensibile vantaggio nel finale. Anche lo sprint è singolare, lanciato dalla leggera discesa degli ultimi chilometri, poi praticamente piatto e preceduto da due non semplici rotonde poco oltre il triangolo rosso, solo negli ultimi 100 metri velenosamente la strada s'impenna in un non trascurabile 6-7% in leggera torsione verso destra. Sprint che va tenuto e vinto negli ultimi metri e che richiede spiccate doti di abilità nello sgusciare lungo la traiettoria più corta, a destra, a filo di transenna. Fondamentale una squadra capace di portare fuori e lanciare il proprio sprinter su questa favorevole traiettoria.

L'ottava tappa viene considerata a tutti gli effetti arrivo in salita. In realtà, Mûr-de-Bretagne è un piccolo paese bretone nei pressi del tranquillo lago artificiale di Guerlédan, in una verdissima, tranquilla zona collinare. I disegnatori del Tour anni or sono ci hanno messo il carico, forse ispirati dal ciclisticamente evocativo toponimo. Negli immediati dintorni hanno scovato, in aperta campagna, un rettifilo di un chilometro al 10% secco, a risalire dritto per dritto il pendio di una morbida collina. Il cerchio è dunque stato chiuso e Mûr ha avuto il suo "muro". Già nel 1947 questa strada venne percorsa in una mostruosa ma non insolita per l'epoca cronometro di 139 chilometri, ma l'arrivo in salita venne inaugurato nel 2011 con la profetica vittoria di Cadel Evans su Contador. La tappa percorre trasversalmente la regione a cavallo delle sue ondulate alture per raggiungerne uno dei punti più alti, ai 366 metri del Col du Mont Bel-Air, chilometro 99 dei 181 complessivi. Per salirvi occorre imboccare una stradella di gusto decisamente belga, fra i campi, sinuosa e tutta strappi. Discesa di ugual fattura, insomma un ottimo trampolino di lancio per chi fosse davanti, visto il prevedibile notevole allungamento del gruppo e la altrettanto prevedibile prudenza di tutte le squadre più forti. La cronosquadre, così insolitamente posticipata, incombe sempre più vicina, e qualunque defezione, o infortunio, che riduca il numero di componenti in piena efficienza della formazione, sarebbe un colpo molto duro. Il sapore della tappa si sprigionerà però con buona probabilità tutto all'arrivo, su quel chilometro rettilineo al 10% seguito da un altro chilometro più irregolare, meno duro, ma con un paio di perfidi gradini trompe-l'oeil, che danno solo l'illusione della spianata, ma che riservano ancora qualche doloroso centinaio di metri di apnea. Due chilometri sono qualcosa di più di un muro fiammingo o olandese, qualcosa in meno di una côte ardennese. C'è una secca curva a 90 gradi proprio all'imbocco, ma, considerato il lavoro delle squadre, questa rampa sarà presa di slancio ad altissima velocità. Dunque da fare a tutta fin dall'inizio, come un vero e proprio muro: sarà tuttavia fondamentale calcolare l'istante migliore per dare la fiammata vincente, ascoltando, soppesando, fiutando se stessi ma soprattutto le riserve di forza degli avversari intorno, davanti e dietro. Difficile dosaggio: su un'interminabile retta del genere, forse, l'esperienza potrebbe avere la meglio sulla potenza pura, come parrebbe dimostrare l'ordine d'arrivo già visto quassù.

In questa cittadina crocevia del ciclismo transalpino si metterà il sigillo alla prima intrigante, enigmatica parte settentrionale di questo Tour, fatta di trampolini e trabocchetti, occasioni e probabili imprevisti. Una parte per corridori abili, veloci, svelti. La stessa cronosquadre finale alla nona tappa è un considerevole salto nel vuoto. Molte squadre, con un percorso così insidioso (la tappa del pavé su tutte) normalmente arrivano alla nona tappa con qualche corridore in meno. Nella cronosquadre è ovviamente un vantaggio notevole poter dividere lo sforzo tra più elementi. Sono manciate di secondi di "tirata" in meno che diventano preziosissimi nel finale. La casualità potrebbe già fare dunque una certa differenza. Ci si mette poi un percorso che non brilla per la possibilità di razionalizzare al meglio le energie, suddividendo equamente il lavoro. Servono le forze migliori nel finale, su quella Côte de Cadoudal che da anni decide le tappe qui arrivate e le edizioni del GP omonimo, affinché non sia necessario buttare al vento importanti secondi per aspettare un eventuale corridore al gancio. Il chilometraggio non incute particolare timore, 28 chilometri. In una cronosquadre dovrebbe tenere le migliori formazioni all'interno del minuto di distacco o poco più. Non si sono nemmeno cercate particolari doti d'equilibrismo e guida del mezzo. Tutta strada semirettilinea con semicurve e carreggiata e due ampie corsie, fatta eccezione per una strana partenza, circa 2 chilometri, tra le viuzze di Vannes, giù fino al porto. In pratica, lo sforzo vero comincia lì. La Côte de Cadoudal di per sé non riserva particolare veleno, dà un paio di strappi in corrispondenza di un paio di ampi tornanti, l'ultimo a circa 300 metri dall'arrivo, pendenza tra il 5 e l'8%. Si tratta però di 1.7 km che alla fine di una cronosquadre potrebbero fare una differenza sensibile tra chi ha una squadra ridotta all'osso e chi può permettersi di lasciare per strada qualche coéquipier proprio qui, per dare la fiammata finale con gli uomini migliori.

Con l'arrivo su questo celebre ma ciclisticamente poco sfruttato colle di confine inizia la seconda parte, più classica, del Tour. Qui si comincerà a capire se le energie spese all'inizio saranno state ben indirizzate, oppure se i più prudenti avranno avuto ragione a non spremersi per la pochezza di qualche decina di secondi. Perché, da qui in poi, lo spazio per guadagnare molti minuti, tra salita e discesa, c'è tutto. La prima tappa di montagna autentica è un arrivo in salita singola, preceduto da poco altro. Un'introduzione, un antipasto. 152 chilometri in partenza con tre quasi estemporanei Gpm di quarta categoria, per attaccare la salita finale, 15.3 chilometri, versante nord, via Col de Labays. Fino all'arrivo del Col de La Pierre-Saint-Martin, ci sarà un dislivello di 1150 metri in 15 chilometri. I primi 10, dopo le sparute case di La Mouline, sono però sensibilmente più duri, con un severo troncone di 4 chilometri tra il 9 e il 10% interrotto solo da alcuni larghi tornanti. Quando il duro è in basso, qui nelle calde valli pirenaiche, profonde e boscose, infossate in conche quasi senza ventilazione, è anche peggio: perché alle pendenze s'aggiunge la mancanza d'aria. Se poi si tratta in sostanza di una cronoscalata dove il ritmo dovrebbe essere altissimo fin dall'inizio, con un gruppo ancora pieno di corridori freschi pronti a lavorare per i rispettivi capitani, abbiamo pronta la ricetta di una tappa che potrebbe sorprendere. E soprattutto, potrebbe sorprendere gli scalatori puri, che tradizionalmente soffrono la prima frazione di salita del Tour, con la gamba ingolfata da 10 giorni in relativa pianura. Passato il Col de Labays, la salita si apre, spiana sensibilmente, e scollina su un crinale aperto, forse ventilato. Qui le velocità saranno vicine ai 25 e avranno certamente miglior gioco i gruppetti sui corridori isolati, potrebbe risultare fondamentale trovare sulla strada compagni d'avventura. L'inghiottitoio impressionante della Pierre-Saint-Martin, 1342 metri, un abisso senza fondo sprofondato nella roccia calcarea, a pochi metri in linea d'aria dall'arrivo, non fa mancare il fil rouge sarcastico che accompagna i contendenti di questo Tour.

11a tappa: Pau - Cauterets
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Mer, 15/07/2015
188.0 km
Partenza: 
Pau ore 12.05
Arrivo: 
Cauterets ore 16.55-17.40
11a tappa: Pau - Cauterets
Sprint intermedi: 
Pouzac km 56.5
Gpm: 
Côte de Loucrup (530 m-3a cat.) km 48.5, Côte de Bagnères-de-Bigorre (644 m-4a cat.) km 61.5, Côte de Mauvezin (501 m-3a cat.) km 74.5, Col d'Aspin (1490 m-1a cat.) km 117, Col du Tourmalet (2115 m-Hors cat.) km 147, Côte de Cauterets (817 m-3a cat.) km 184.5

Il giorno dopo il primo grande arrivo in salita di questo Tour si attaccano immediatamente due tappe pienamente pirenaiche, due arrivi su salite alquanto diverse. Il cuore di questa tappa è nella più storica delle ascese della Grande Boucle, il Tourmalet. Verrà preso dal versante orientale e preceduto dal più breve ma non scontato Aspin, con soltanto un breve tratto di fondovalle ascendente non appena svoltato per le antiche vie di Sainte-Marie-de-Campan. Il Tourmalet versante La Mongie è una larga strada boscosa fino a metà, circa 3 chilometri dal centro turistico, situato nel bel mezzo di uno dei più difficili spezzoni di salita di tutti i Pirenei. Non appena compaiono all'orizzonte i cacofonici palazzi della località, la strada si impenna, dà un paio di strappi violenti proprio nell'attraversamento del paese, e continua per altri 4 chilometri, restringendosi e attaccando decisa l'ultimo costone roccioso per valicare lo storico passo. Un finale di salita piuttosto duro, non da meno dell'altro più battuto versante. Il quale, con la sua stretta ed impegnativa discesa, attende segnali di vera battaglia. L'arrivo, per una volta non lontano anni luce, è nella conca di Cauterets, distante pur sempre 40 chilometri dalla cima, e preceduto da un'assai discontinua risalita della vallata. Ci sono alcuni strappi su una strada per lo più assai pedalabile, il più duro dei quali a circa 3 chilometri dal traguardo, seguito da un paio di altri di minore entità, fino agli ultimi 50 metri pressoché pianeggianti. Tappa che suggerisce certamente avventure sul Tourmalet, ma più probabilmente favorevole solo in caso di luogotenenti mandati in avanscoperta per il finale. Assai più favorevole tuttavia per un gruppo o gruppetto che si ricompatta e insegue. Sembra piuttosto una tappa di rimedio, per gli sconfitti dell'arrivo in salita del giorno prima, e con poche speranze per il giorno dopo. Mai sottovalutare tuttavia il respiro della leggenda che si avverte, e ispira, su un gigante come il Tourmalet.

La terza tappa pirenaica raggiunge il dislivello e la distanza di una tappa di montagna vecchio stile. Quattro colli di lunghezza importante dislocati con regolarità lungo tutta la tappa e intervallati da altrettanti tratti di fondovalle. La traversata presente ripercorre le rotte ormai appartenenti alla memoria e alla tradizione di questa corsa. Ma, se Portet d'Aspet, La Core e il difficile arrivo a Plateu de Beille sono assai note a tutto il gruppo, il passaggio al Port de Lers ha un sapore leggermente più esotico. La località è assolutamente selvaggia, spersa tra i pascoli di montagna, piuttosto brutto l'asfalto e seguito da una discesa stretta che s'incunea nella silvestre vallata di Vicdessos. La strada, dopo Vicdessos, si fa più larga e confortevole, ma sempre in sostanziale discesa fino a Tarascon. Da lì, vallata dell'Ariège, in meno di 10 chilometri pianeggianti, meno di 20 complessivi da pedalare alla fine della discesa, si arriva all'inizio dell'erta di Plateau de Beille. Altro arrivo di salita lunga, assai simile nel chilometraggio e dislivello complessivo alla Pierre-Saint-Martin di due giorni prima, ma più regolare nella distribuzione dei suoi 1230 metri di dislivello lungo i 16 chilometri di ascesa. Un pizzico in più rispetto alla decima tappa: stesso tipo di sforzo, ma da profondere in capo ad una frazione assai più dura e variegata. Ci sono dunque: un arrivo in salita lungo e irregolare, in tappa senza altre ascese; un arrivo in salita facile in una tappa con tanto dislivello; un arrivo in salita lungo in una tappa ancora altimetricamente importante. Tre generi di tappa complementari, un crescendo rossiniano già più volte visto nei trittici montuosi della Grande Boucle. Assai probabile che gli arrivi in salita suggeriscano le ormai prevedibilissime strategie conservative, da battaglia relegata, pressoché confinata, agli ultimi chilometri. Chissà che le molte insidie nascoste tra le pieghe del percorso nei primi 9 giorni non costringano qualcuno dei molti attesi protagonisti a tentare la puntata forte già qui.

Con questa tappa si inaugura senza tregua una terna di frazioni intermedie, assolutamente non tranquille per i corridori di classifica, aperte, a questo punto del Tour, a fughe ben assortite. Difficile ormai provare a tenere chiusa la corsa su questi contrafforti bassi del Massiccio Centrale, tutt'altro che brevi saliscendi. La tappa di Rodez sulla carta è la meno insidiosa delle tre. Piuttosto scorrevole, sebbene mai del tutto pianeggiante, nei primi 100 chilometri, passando sui levigati colli meridionali di Toulouse e Albi, per poi inoltrarsi verso nord in una regione già d'alta collina, e sprofondare nelle gole del Tarn. Se ne risale con la Côte de Saint-Cirgue, al chilometro 131, e si inaugura qui un finale di tappa movimentato da altre 2 salite valide per la maglia a pois e da un ulteriore strappo di un paio di chilometri quasi rettilinei, per misteriosi motivi non eletto a Gpm, a 10 dal traguardo, in località La Primaube. L'arrivo è un lampo, giunti ad Olemps, su un panoramico promontorio con vista su Rodez, la strada cala improvvisamente in picchiata nella valle dell'Aveyron a 2 chilometri dal traguardo, uno di fondovalle ai piedi della città e, quando ormai i cartelli dell'arrivo già fanno sentire il profumo del traguardo, passati i 500 metri e un paio di ampi svincoli stradali, ecco una brusca rampa al 10% senza tregua fino alla linea, una esse larga e 100 metri diritti. Le enigmatiche tele increspate di Pierre Soulages, nativo di Rodez, conservate in gran numero nell'omonimo museo qui fondato, al confronto quasi impallidiscono per forza d'impatto. Altro traguardo destinato ad avventurieri, oppure a corridori di esplosività fulminante. Tirando le somme, però, siamo di fronte ad un Tour senza respiro.

Ennesima tappa spinosa, difficile, con un finale dove nessuno può nascondersi, anzi dove sarà richiesto un ulteriore violento fuori giri. I primi 44 chilometri sono, chiaramente, nella loro varietà e continua proposta di salitelle, curve e brevi discese, destinati a lanciare la classica fuga a lunga gittata, che forse potrebbe avere qualche chance di successo in meno, visto quanto potrebbe risultare appetitoso l'arrivo per i corridori di classifica dotati delle formazioni più forti. La corsa risprofonda poi nelle gole del Tarn lasciate a metà della tappa precedente e per un buon tratto continua a percorrere una stradina del tutto secondaria a costeggiare il fiume. Sempre risalendo il corso del tortuoso fiume, strada che non consente distrazioni, a tratti incassata tra la roccia e la scarpata, a tratti costeggiante il corso d'acqua, si prosegue per altri 80 chilometri. È la fase centrale della tappa, che, come i dettami della tappa-da-fuga vogliono, è altimetricamente più tranquilla, in leggerissima salita, ma senza strappi. A Sainte-Énimie ricominciano le scosse. C'è un primo Gpm di seconda categoria, Côte de Sauveterre, 570 metri di dislivello su pendenze di media difficoltà, lunghetta. Da qui in poi occorrerà una formazione forte per tenere le redini della corsa, non si contano i cambi di pendenza e un'altra côte, già percorsa alcune volte come antipasto dell'arrivo sulla Croix Haute di Mende, potrà essere sfruttata per prendere l'erta finale con qualche decina di secondi di vantaggio. Le pendenze aspre sono tutte nel tratto intermedio dei 3 chilometri della Montée Jalabert, alias Col de la Croix Neuve, salita dell'aeroporto di Mende, ed è qui che generalmente i corridori di classifica tentano il colpo. E, sempre generalmente parlando, spesso si sono visti materializzarsi distacchi in questi 3 chilometri tra il 10 e il 14%, più cospicui che sui grandi colli alpini. Il fatto è che in uno sforzo così breve, meno di 10 minuti, non c'è niente da risparmiare e tutte le piccole differenze vengono impietosamente messe in luce. Non ne parliamo quando si verificasse un fuorigiri imprevisto, su queste pendenze. Mancava solo l'arrivo di Mende, insomma, in questo Tour ansiogeno.

Proviamo a immaginarla, questa frazione interlocutoria ma domenicale, quindi con pubblico moltiplicato (e di conseguenza moltiplicata voglia di far bene da parte di tanti, se non di tutti). Magari va la fuga all'inizio e la rivedono dopo la fine, e amen. Ma chi lo sa. Il percorso è incerto, incastonato tra le salitelle del giorno prima e quelle del giorno dopo, e - più ad ampio raggio - tra i Pirenei e le Alpi... le chance per i velocisti nella Boucle sono poche, questa potrebbe esserlo, epilogo allo sprint e di nuovo amen... Però non si riesce a non immaginare le prime due ore di gara a ritmo sostenutissimo, tutti che vogliono andare all'attacco, magari lanciandosi già sulla Côte de Badaroux (5 km al 5%, non male) in avvio; dopo 70 km, due rampette segnate da traguardo Gpm (Col du Bez e Col de la Croix de Bauzon) sono seguite da quasi 20 km di discesa che promettono di rimescolare tutto. Qui la fuga - se sarà in atto - potrebbe vedere ulteriori rientri, qualcuno potrebbe addirittura tentare l'imboscata, e comunque il gruppo risulterà matematicamente frazionato tra uno strappata e l'altra: perdere contatto, trovare un buco, è un attimo. Le pendenze non sono elevate, siamo tra il 4 e il 6%, ci vorrà potenza; ma ci vorrà occhio e capacità di guidare, perché le curve (soprattutto nella prima metà della picchiata) sono tantissime. E una volta arrivati in fondo? Quanto ci vorrà perché la situazione di gara ritrovi una sua linearità? Ce la si farà nel giro di un venti-trenta chilometri a ricompattare tutto? Ce lo chiediamo perché poi, appunto dopo circa 25 km di fondovalle, l'altimetria trova un nuovo dentone, il Col de l'Escrinet. E si tratta di 8 km al 6% scarso, comunque molto regolari. Se ci si arriva col plotone diviso in gruppetti, può venirne un inseguimento entusiasmante. La successiva discesa verso Privas, dolcissima, a tratti quasi da doppia fila malgrado qualche curva cieca, misura 15 km e termina a 45 dalla conclusione. E quindi, in ogni caso, lo spazio per ripianare ogni debito, in questo finale, c'è eccome. L'eventualità che tutto si risolva in un nulla di fatto, dopo una fase iniziale-centrale scoppiettante, è alta. Ma quel che è certo è che le energie saranno spese, e tante. E anche questo peserà, in avvio di terza e decisiva settimana del Tour.

Seconda e ultima tappa dal chilometraggio superiore ai 200 km (e quanto questo dato la dice lunga sul ciclismo contemporaneo!), la frazione di Gap è una riedizione (perlomeno nel suo finale) di una tappa vinta due anni fa da Rui Costa. Non una tappa di quelle che "faranno" il Tour, ma occhio: mai sottovalutare. I primi 105 km, diretti a sud e poi verso est, sono praticamente tutto un falsopiano a salire fino a Luc-en-Dios, dove la strada si fa altimetricamente più irregolare, preannunciando la prima salita di giornata: il Col de Cabre, 9 km di ascesa al 4.6%, appena più impegnativo nella parte centrale. L'aspetto interessate di questa scalata è quello che viene dopo il Gpm; come dire, la discesa. Una picchiata di 5 km fino a La Beaume, primi 2 km abbastanza lisci, poi la strada si fa più pendente e tortuosa per un paio di chilometri, e si "rilassa" nuovamente a fine discesa. Da qui mancano poco più di 65 km al traguardo, una decina sono di assestamento (più o meno come quelli precedenti il Col de Cabre), poi riprende il falsopiano a salire, per altri 30 km circa, fino alle porte di Gap; una fase di tappa che se da un lato bagnerà le polveri degli attaccanti mettendo il vento in poppa al gruppo, dall'altro finirà con l'imballare qualche motore. Una breve discesa sulla città sede d'arrivo precede un giro orario di 23 km che porterà il gruppo ad affrontare il Col de Manse, salita che caratterizza il finale: la scalata, lunga 9 km, non fa in sé tremare i polsi, con la sua pendenza media di poco superiore al 5.5% (più difficile la prima metà di ascesa); ma il riposo piazzato l'indomani farà venire voglia d'azzardo a qualche uomo di classifica, specie chi si trovasse a dover recuperare qualche minuto lasciato sui Pirenei. Come per il Cabre, più che alla salita (il Gpm è posto a 12 km dal traguardo) ci sarà da fare attenzione alla successiva picchiata di 7 km: non tanto per i primi 2, quanto per i successivi 5, che saranno più accentuati come pendenza (si va sul 7-8%) e più insidiosi come caratteristiche tecniche. Gli ultimi 4 km sono praticamente pianeggianti, e qui gli eventuali attaccanti dovranno difendere coi denti il margine guadagnato sul gruppo.

Identica alla frazione corsa qualche settimana fa al Delfinato, e allora riscriviamo quanto analizzato allora, per questa 17esima tappa che sarà resa ardua dalle temperature, soprattutto nelle profonde e afose vallate delle Alpi Marittime, vallate che in questo disegno allontanano tra loro i colli rendendo assai più difficili attacchi da lontano. Piuttosto lontani tra loro e pedalabili i primi tre colli, Lèques, Toutes Aures e Colle Saint-Michel, seguiti da altri 25 chilometri di pianura prima di attaccare le rampe del più serio Col d'Allos. A La Foux d'Allos si perviene alla testata della valle e sul brullo versante destro compaiono i tornanti degli ultimi 6 chilometri di salita, che compiono un dislivello di circa 450 metri, più duri lungo un dirittone oltre il primo tornante, poi gradualmente più regolari. Colle piuttosto irregolare, per le abitudini del Tour, con alcune punte di pendenza oltre il 10%. Rimane sopra la media anche la difficoltà della discesa, in alcuni punti molto esposta a filo di un paio di profondi canaloni. Fu in questa discesa, difatti, che guadagnò più di un minuto di vantaggio il Merckx di quel giorno di crisi, al Tour del 1975. Sono 16 chilometri non veloci a causa delle curve ravvicinate, interminabili qualora si perda di vista davanti il corridore avversario. Pra Loup, a dispetto del nome e della sua storia, non sembra affatto una salita in grado di creare grandi difficoltà al corridore professionista. Media pendenza, 6 chilometri quasi del tutto razionalmente disegnati sul non alto versante montuoso, 400 metri di dislivello. La discesa dell'Allos però, avrebbe tutti i numeri per consentire al buon discesista di difendere ed incrementare un eventuale vantaggio al passaggio in cima, in vista di un non lungo nè eccessivo sforzo finale per raggiungere il traguardo a Pra Loup.

18a tappa: Gap - Saint-Jean-de-Maurienne
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Giov, 23/07/2015
186.5 km
Partenza: 
Gap ore 12.20
Arrivo: 
Saint-Jean-de-Maurienne ore 17-17.40
18a tappa: Gap - Saint-Jean-de-Maurienne
Sprint intermedi: 
Rioupéroux km 107.5
Gpm: 
Col Bayard (1264 m-2a cat.) km 6.5, Rampe du Motty (982 m-3a cat.) km 35.5, Côte de la Mure (803 m-3a cat.) km 60.5, Col de Malissol (1153 m-3a cat.) km 70.5, Col de la Morte (1368 m-2a cat.) km 85, Col du Glandon (1924 m-Hors cat.) km 147, Lacets de Montvernier (782 m-2a cat.) km 176.5

Chi avrebbe pensato di trovare una piccola Liegi in mezzo alle Alpi? Eppure è proprio questo il piatto proposto dal menù prima della due-giorni decisiva. Dice: ma il Glandon, vetta della frazione, non è una salita di 20 e passa chilometri? Vediamo se è così, e intanto torniamo all'inizio: si parte da Gap e al decimo centimetro si incrocia la prima côte di giornata, il Col Bayard, 6 km di scalata al 7%, tanto per mettere subito una base di acido lattico nelle gambe. I primi 80-90 km sono tutti un susseguirsi di salitelle del genere, in realtà più corte del Bayard, ma anche più dure: rasoiate vere e proprie, insomma le tipiche côte della Liegi, appunto. La rampetta di Chauffayer al km 25, la Rampe du Motty al 35 (2 km all'8%), la Côte de La Mure al 60 (3 km 7%), il Col de Malissol al 70 (2 km al 9%), il Col de la Morte all'85 (3 km all'8%). Come si evince da questo sommario elenco, non un solo attimo di respiro; e la tappa vera e propria, penserà qualcuno, non è ancora cominciata. La discesa dopo il Gpm della Morte misura 15 km ed è in gran parte abbastanza ripida (tra il 7 e l'8%) e molto tortuosa, non sarà insomma una comoda planata su Séchilienne, località spartiacque posta a 86 km dalla conclusione, uscendo dalla quale si affronta l'ennesima rampetta di giornata, verso il traguardo volante di Rioupéroux; dopo lo sprint, finalmente per i corridori si apre una finestrella interlocutoria, poco più di 15 km in cui fare rifornimento, abbeverarsi, nutrirsi prima del citato Glandon. Una scalata celebre del Tour, che dal versante di Allemont è però proprio assimilabile a una nuova sequenza di côte da Liegi: prima rampa di 5 km al 9%, seguita da 4 km di spianata e discesina; fase centrale (bella tosta) di 6 km tra il 7 e il 10%, seguita da nuova spianata di 4-5 km; ultimo muretto di un paio di chilometri all'8% fino al Gpm. La discesa è difficile all'inizio, i primi 3 km sono ripidi e tortuosi, ma poi diventa molto più regolare, gestibile, è vero che chiama a rilanci quando spiana troppo, ma per 20 km si può recuperare qualcosa, respirare, lasciar correre la bici. Anche perché riordinare le idee sarà quantomai necessario, in vista di un finale che non si esaurisce con l'approdo al fondovalle: c'è ancora un'ultima côte liegesca da affrontare, la salita di Montvernier, vero spettacolo scenografico con la sua balconata di tornanti uno sull'altro. La strada è quella che porta al Col de Chaussy e poi più su alla Madeleine, ma qui ci si ferma dopo 3 km di ascesa, esaurita la fase ubriacante dei tornanti (3 km all'8-9%), quindi si svolta a destra, si torna giù per una discesina non trascendentale, più veloce nella prima metà e poi sinuosa in fondo, quindi si riaffianca l'autostrada della Maurienne e si affrontano gli ultimi 4 km in piano fino al traguardo. Ha l'aria di essere una frazione che molti tenderanno a sottovalutare: potrà fare perciò grandi danni.

La letteratura recente ci dice che inizio in salita + tappa breve = sfracelli e spettacolo. Nell'attesa che prima o poi giunga la temuta controprova a tale assunto, aspettiamo e auspichiamo un gran divertimento nei 133 km da SJDM a La Toussuire: località che in realtà sono molto più vicine (20 km, diciamo), ma che sono stavolta collegate da un ampio giro che va a coinvolgere alcune significative salite della zona. Si parte subito all'insù, dicevamo: ripercorrendo a ritroso gli ultimi 10 km del giorno prima, si torna a Montvernier e stavolta sì che si prosegue verso la vetta del Col de Chaussy: ascesa alquanto regolare, 15 km nella sua interezza, pendenza media superiore al 6% (e tratti ovviamente superiori), ma è inutile spaccare il capello (o la percentuale) in quattro: col sole a picco e la necessità per qualcuno di attaccare, se ci sarà la giusta volontà già qui assisteremo alle prime schermaglie; altrimenti tutto rinviato alla scalata successiva. Per arrivarci, occorre superare 15 km di discesa (prima metà abbastanza agevole, seconda metà da guidare con cento occhi aperti, tra pendenze e tornanti), e 30 km di fondovalle che onestamente in questa fase stonano un po', danno un immediato senso di coitus interruptus. Il Glandon è la stessa salita della tappa precedente, solo percorsa in senso inverso: e quindi primi 8 km abbastanza regolari sul 7% abbondante, falsopianetto centrale, e seconda parte sensibilmente più impegnativa della prima; in cima, dopo 20 km di ascesa, si prosegue verso sinistra per altri 3 km (facili) che portano al Gpm della Croix de Fer, unica vetta sopra (per poco) i 2000 metri tra le varie tappe alpine. La discesa, 14 km, è quella che porta a Belleville, ai piedi del Col du Mollard, ed è molto complicata nella prima metà, con tornanti e curve strette su pendenze accentuate; molto più facile nei secondi 7 km; il Mollard, quindi: 6 km quasi al 7% medio che permetteranno di dare seguito agli attacchi nati sulla precedente scalata o nella prima metà di discesa. Una salita che per le sue caratteristiche (più difficile all'inizio e alla fine, facilina al centro) dà l'impressione di poter fissare o addirittura accentuare i distacchi scavati fin lì. Dalla cima mancano 35 km al traguardo. La picchiata riporta ancora a Saint-Jean-de-Maurienne, ed è lunga (16 km) e tortuosa (almeno nei primi 10): non sono ammesse distrazioni, ma al contempo bisognerà ricordarsi di mangiare gli ultimi zuccheri ad assorbimento rapido, perché una volta in fondo ci sarà da affrontare l'ultima scalata di giornata, quella verso il traguardo di La Toussuire. Non la più ardua delle salite alpine, e neanche la più affascinante, per dirla tutta; ma ancora 18 km di ascesa, la cui pendenza media del 6% non dice tutto della sua difficoltà: parte dura, i primi tre chilometri sono da rapportino, poi si stabilizza sul 6-7% fino a metà, e si semplifica più su, offrendo diversi tratti di recupero. Di recupero per alcuni, di rapportone (per incrementare il vantaggio acquisito) per quelli che avranno attaccato in precedenza. Sì, perché in una tappa del genere (chiudiamo il cerchio col concetto di partenza) non è ipotizzabile un malsano greggismo fino agli ultimi 4-5 km: su un percorso così, sarebbe un delitto assoluto.

E al terzo giorno consecutivo di passaggi in zona Croce di Ferro, la sensazione di dejavù non potè non farsi pressante... così come la delusione per un tracciato che riduce ulteriormente il chilometraggio rispetto al giorno prima, siamo a poco più di 100 km, non propriamente la distanza su cui l'appassionato s'immaginerebbe di veder deciso un Tour de France. Eppure tale tendenza si fa sempre più presente, nei GT e in particolare alla Grande Boucle; nel nostro caso, poi, sono intervenute problematiche viarie a rendere ancor meno significativa la tappa che doveva essere regina e forse non lo sarà: si doveva salire fin sul Galibier, e quei 2556 metri d'altitudine avrebbero dato tutt'altro spessore alla frazione, ma una frana a valle, verso Bourg d'Oisans, con tanto di tunnel chiuso, ha costretto gli organizzatori a fare il giro dal versante nord del massiccio anziché da quello sud: e quindi, di nuovo, Croix-de-Fer, affrontata in salita (nella parte finale) dal lato percorso in discesa il giorno prima; e in discesa, dal versante del Glandon coperto salendo due giorni prima. I primi 25 km da Modane a Saint-Jean-de-Maurienne (vero centro di gravità permanente di questi giorni alpini) sono tutti in leggera discesa, poi iniziano i circa 30 km di scalata: fra il km 6 e il km 12 la parte più dura, poi un tunnel via l'altro e la strada si fa a lungo pianeggiante per poi riprendere a salire con dolcezza, in totale tra piano e falsopiano parliamo di poco più di 10 km interlocutori, che spezzano in due la scalata. Si riprende a far sul serio dal km 23 (a Saint-Jean-d'Arves, dove ci si reimmette sul tratto fatto in discesa nella 19esima tappa) e fino alla serie di tornanti che precede la vetta, con pendenze tra il 7 e il 9%. Al Gpm siamo esattamente a metà tappa, 56 km percorsi e 56 (o qualche metro in meno) da percorrere. La lunga discesa fino ad Allemont, quasi 30 km, non presenta caratteristiche da toboga, si lascia in gran parte pedalare in scioltezza, ed è interrotta da un paio di contropendenze che saranno superate abbastanza di slancio. In fondo spiana, e dopo che si circumnaviga il Lac du Verney, ad Allemont appunto, ci sono 10 km di respiro fino a Bourg-d'Oisans e, quindi, all'Alpe d'Huez. L'ultima vera salita del Tour, sesto traguardo in quota dell'edizione 2015, la conoscono tutti a memoria, coi suoi tornanti intitolati ai grandi campioni che qui vinsero in passato, e coi suoi 14 km all'8% di pendenza media. La differenza si farà nei primi 11, dato che in cima la scalata si fa più agevole, ma fin lì, nel prevedibile immenso bagno di folla che attende la carovana gialla, ci sarà di che battagliare sui non radi tratti dalla pendenza in doppia cifra, per assestare definitivamente la classifica. E lassù, all'Alpe, come diceva quel famoso film, "ne resterà soltanto uno".

L'ultima sgambata prevede la consueta passerella dei Campi Elisi, arcinota e arciclassica conclusione della Grande Boucle. Stavolta si parte da Sèvres, periferia della Ville Lumière, si incontra subito una trascurabile rampetta a cui resterà l'onore di essere l'ultimo Gpm (ovviamente di quarta) del Tour 2015, chiamata Côte de l'Observatoire (praticamente è la salita che porta all'osservatorio parigino di Meudon), e poi, costeggiando la Senna, si risale verso il parco del Bois de Boulogne, che viene tagliato diagonalmente per arrivare al centro di Parigi, dopo 30 dei 107 km totali di questa brevissima frazione. Si approda una prima volta da nord-ovest all'Arc de Triomphe, il circuito conclusivo è lì davanti ma non vi si entra ancora, visto che gli organizzatori si e ci concedono una deviazione che ci riporta alla Senna, al Trocadero, e quindi, valicando il Pont d'Iéna, a baciare la Tour Eiffel, e poi a lambire il Panthéon e a passare dagli Invalides, in un giro turistico prima ancora che ciclistico. Solo dopo aver attraversato ancora la Senna, per la terza volta, e aver reso omaggio al Louvre e alla sua piramide, si raggiunge il circuito, entrandovi accanto ai Giardini delle Tuileries. Circa 7 i km a tornata, da affrontare 10 volte. Il circuito è presto descritto: lungo rettilineo dalla linea d'arrivo all'Arc de Triomphe, praticamente un chilometro e mezzo; si circumnaviga il monumento e si torna indietro (un altro chilometro e mezzo) sul controviale, allungando poi di 400 metri fino a Place de la Concorde; qui svolta a destra per guadagnare il Lungosenna, da cui si costeggiano le Tuileries in senso orario, tre lunghi rettilinei spezzati da due curve a sinistra; una chicane reimmette in Place de la Concorde quindi curva a sinistra ai 500 metri e a destra ai 400 metri, per immettersi sul rettilineo conclusivo, su cui gli sprinter superstiti si giocheranno a velocità supersoniche il traguardo per loro più prestigioso.

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