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Giro di Svizzera 2015

Sempre in equilibrio tra tradizione e modernità, anche il Tour de Suisse 2015 pare singolarmente equilibrato, al limite dell'indecisione. Sembra tuttavia allontanarsi da quell'aura romantica e demodé amante di luoghi e percorsi legati ad antiche suggestioni. La partenza è nel cuore della Svizzera, in un minuscolo borgo sulle rive del centralissimo lago di Zugo, il cui toponimo significa Croce Rossa e nel cui territorio è installato il centro ricerche di una della più potenti aziende farmacologiche internazionali, la Roche. Un distillato, insomma di quello spirito affaristico e futurista svizzero che fa da contrasto alla poeticità cristallina dei paesaggi circostanti. Lo scuro parallelepipedo di vetro lucido della torre Roche fa da sfondo ad un cronoprologo con poche insidie e nemmeno altri particolari scorci panoramici. 5 chilometri con due curve ad angolo acuto agli angoli bassi di un percorso triangolare quasi del tutto piatto, e tracciato su buone strade. Un solo leggero restringimento negli ultimi due chilometri nell'attraversamento della piccola cittadina di Rotkreuz e una semicurva a destra che caratterizzerà gli ultimissimi metri peraltro del tutto pianeggianti. La seconda delle curve a gomito si trova a circa 1 chilometro dall'arrivo, per il resto sembra un prologo adattissimo a corridori molto potenti e senza particolari doti acrobatiche nella guida del mezzo. Grande velocità con due ripartenze a gas aperto che potrebbero forse favorire alcune ruote veloci del gruppo particolarmente adatte alla specialità. Prologo decisamente razionalista: quasi una equazione matematica, nel borgo della scienza medica.

Intorno alla località del prologo è disegnata anche la seconda tappa, di media montagna (caratteristica prevalente di tutto il percorso), tra le più interessanti dell'intero Tour. Stessa partenza e stesso arrivo, si percorrono due diversi circuiti, con differenti caratteristiche, entrambi per due giri. Il primo anello va a circuire i due laghi del cantone, Zugo ed Aegerli, ravvicinati, ma situati ad altezze sensibilmente differenti, circa 400 metri. Questo gradino costituisce la salita del primo giro, che sale moderatamente, intorno al 7% di pendenza media, dai sobborghi del capoluogo Zugo, lungo strade di ampia percorrenza. Per il resto il percorso costeggia le rive dei due placidi specchi d'acqua. Assai meno pacifico è viceversa il secondo circuito, anch’esso da ripetere due volte, tracciato intorno alla salita di Michaelskreuz, stradina che sale a tornanti tra i prati, capricciosa, piena di strappi intorno al 10-12%, 4 chilometri per 370 metri di dislivello, cima situata a pochi metri da una antica cappella di origine medievale. 12 chilometri dal traguardo, di cui la metà in facile e veloce discesa. Strada forse di panoramicità troppo aperta per non sfavorire fuggitivi con pochi secondi di vantaggio sempre alle viste del gruppo, tuttavia sembra una battaglia equilibrata tra scattisti da salite medio-brevi e gruppo forse sfoltito di molti sprinter. Tappa da arrembaggio, appetitosa senza risultare eccessivamente selettiva, un mix che risulta piuttosto colorito, imprevedibile.

La frana nel canalone di Goschenen ha costretto l'organizzatore a cambiare località di partenza, rimanendo sempre sul versante ticinese. Non è cambiato il copione della tappa che prevedeva la scalata al San Gottardo in partenza, ma ne è risultato il cambio di versante con un ritorno su una strada storica del Tour de Suisse, la celeberrima Tremola, 13 chilometri di salita la maggior parte dei quali su pavé. Salita che risulterebbe totalmente fuori dai canoni del ciclismo moderno, con dinamiche del tutto particolari, qualora venisse affrontata in un finale di tappa, come nell'ormai lontano 2001. Il passaggio al Gpm tuttavia risulta posizionato al chilometro 18 di una tappa in formato pedagogico di 117 km. C'è soprattutto un lunghissimo fondovalle a separare questo autentico monumento dalle due non ardue asperità che scandiranno il finale della frazione. Ritornata la corsa ad Airolo per il versante asfaltato della salita, occorrerà ripercorrere tutta la Valle Leventina (una quarantina di chilometri abbondante) fino a Biasca e poi risalire la Val Blenio fino a Dongio, per approcciare la salita di Leontica dal suo versante più dolce. Ci sono 6 chilometri e mezzo di salita di media difficoltà, a tornanti nella prima parte, approdante ad un panoramico pianoro nella seconda. Rimangono, poi, altri 10 chilometri di fondovalle in salita fino ad Olivone, strada che procede a strappi e potrebbe ancora favorire azioni di grande esplosività da parte di cacciatori di tappe e di classiche. Se l'equilibrio tra difficoltà e apertura del pronostico era ottimamente riuscito nel disegno della tappa precedente, qui invece l'impressione è quella dell'indecisione. Nel cuore delle Alpi tra i valichi, splendidi, che hanno fatto la storia di questa corsa, si abbozza soltanto una tappa di montagna, lasciandone però incompiuto il disegno. Nemmeno tuttavia risulta convincente come tappa da finale esplosivo, forse aperta a fuggitivi della prima ora con buona doti da scalatori. In fin dei conti, a meno di attacchi all'arma bianca dal chilometro 0, ne potrebbe perfino risultare una corsa controllabile per le squadre di alcune ruote veloci.

La quarta tappa torna ad accendersi su salite corte ed esplosive, cercate sui solari dorsi delle colline che ondulano tutto il territorio centrale e settentrionale svizzero. Si arriva nel canton San Gallo, nei pressi della storica cittadina di Wil, nella cittadina di Schwarzenbach. C'è un primo Gpm di seconda categoria, al chilometro 68, a movimentare i primi 100 chilometri di tappa, pressoché pianeggianti, in direzione nord. Molto regolare e su scorrevolissima carreggiata, con i suoi 9 chilometri tra il 6 e l'8% potrebbe forse mettere in difficoltà più i fuggitivi che chi si nasconde nella pancia del gruppo. La tappa si deciderà infine lungo tre giri di un circuito di 29 chilometri, intorno allo strappo di Kirchberg, distante pur sempre 22 chilometri dal traguardo. Vi si trovano un paio di impennate su strada quasi rettilinea, sconfortanti, e scenografiche per l'esposizione totale della strada alle viste degli spettatori e del gruppo. Tuttavia non pare facile guadagnare un vantaggio sufficiente a raggiungere il traguardo. La breve salita (poco più di 2 chilometri) è tuttavia seguita da un asfissiante falsopiano, richiedente continui rilanci su piccoli dislivelli e brevi tratti pianeggianti fra i pascoli. Questo è forse il tratto decisivo, in fondo al quale si trova una vera e propria picchiata, al 12% di pendenza, su Fischingen. Ancor più accattivante è una ulteriore rampaccia, all'uscita di Sirnach, a 9 chilometri dal traguardo, risalente l'onnipresente morbido versante erboso. Circuito forse troppo lungo, ma caratterizzato da una serie di scosse violente, variegate, tra salitelle, picchiate, rettilinei pianeggianti. Difficile per gli sprinter, difficile per gli attaccanti: poco amichevole, nella sua sostanziale discontinuità, anche per eventuali passisti lanciati all'attacco dai precedenti lunghi chilometri di pianura. In caso di sprint, molto probabilmente a ranghi ridotti, va notato che gli ultimi due chilometri, passato un ponte e un sottopasso della ferrovia, sono tutti in leggera salita. Nel difficile equilibrio tra tradizione ed innovazione che cerca in continuazione questa corsa siamo decisamente dalla parte della discontinuità col passato.

Con questa quinta tappa giungiamo ad una svolta. Altra stranezza, come snobbando il pur generosissimo territorio elvetico, il disegnatore la vada a cercare in Austria. Stavolta la bilancia pende decisamente dalla parte della tradizione, sebbene, ancora, il piede sull'acceleratore del dislivello venga trattenuto. Siamo di fronte all'unica vera tappa d'alta montagna di tutta la corsa e si superano di poco i 4000 metri di dislivello. Due salite monumentali si presentano solenni sul profilo della frazione. Il Bielerhöhe, con il suo maestoso anfiteatro costellato di tornanti, col suo limpido laghetto riflettente le guglie silenti del Silvrettagruppe, si staglia poco oltre la metà del percorso, chilometro 127. Lungo i suoi 22 chilometri con punte, nella prima parte, al 14%, un tempo sarebbe avvenuta una selezione decisiva e spietata, a mettere gli attesi protagonisti uno contro l'altro a giocarsi la vittoria nei restanti 110 chilometri di questa lunga tappa. Sembra tuttavia difficile che questo possa avvenire oggi, con un lunghissimo e leggermente ascendente fondovalle fino a Sölden, località d'attacco alla dura salita finale. A proposito della quale, i numeri dicono già quasi tutto: 14.6 chilometri per 1315 di dislivello, regolare, nel duro. Un impegno di più di tre quarti d'ora su una salita asfissiante, per l'altezza non indifferente - ci sono 9 chilometri di salita sopra i 2000 metri sul livello del mare - e per le caratteristiche tecniche. La strada ha una pendenza pressoché continua dall'inizio alla fine, nella prima parte sempre oltre il 10%, leggermente meno negli ultimi 5 chilometri. Tuttavia il finale si incunea in un brullo ed angusto vallone d'alta montagna, con un interminabile rettifilo aggrappato alle pareti rocciose, soffocate dal riverbero del sole sulla pietra e scarsamente ventilate. Una salitaccia infernale, insomma, nulla a che vedere con gli idillici altipiani erbosi dei valichi circostanti. Esaltante le doti di tenacia e la capacità di calarsi nella fatica più nera. Due salite per scalatori psicologicamente diversi. Una per poeti, l'altra per penitenti.

La sesta tappa propone l'attraversamento settentrionale del paese, in direzione ovest. Il paesaggio, l'orografia, l'ondulazione continua, indefinita, perenne, del percorso non cambiano. Verdi colline dagli aperti orizzonti si susseguono in un territorio che lascia poco spazio alla pianura vera e propria, ma che tuttavia non propone sostanziali chiavi di volta per attacchi decisi al gruppo. Ci sono, lungo i 193 chilometri della tappa, svariati dentelli, variazioni di pendenza, salitelle tra i 2 e i 4 chilometri, delle quali solo una, quasi emblematicamente, eletta a Gpm di terza categoria, all'uscita del borgo di Auenstein, pochi chilometri dalla antica Aarau. Siamo però ancora a circa metà tappa e nel finale la densità di tali strappetti si dirada. Tanto che negli ultimi 25 chilometri, da Solothurn in poi, si plana in una vallata che lievemente scendendo, approda alle rive del lago di Bienne, sede di arrivo. Città bilingue, sul confine francofono, centro pulsante della celebre industria di orologi svizzera. Vi si attende puntuale uno sprint, dato il veloce finale e la difficoltà di gestire razionalmente lo sforzo di una eventuale lunga fuga su un percorso costellato di innumerevoli cambi di ritmo come questo. Ma, soprattutto, pianeggiante in fondo. Proprio dove conviene di più ad un gruppo che vuole chiudere la corsa solo alla fine. Vanno spese un paio di righe per uno strano finale. Giunti alla periferia della città d'arrivo, dalla larga e veloce strada cantonale si devia a sinistra verso un'area destinata agli impianti sportivi. Ci sono due curve ad angolo retto ai 500 metri e ai 200 metri circa, con un discreto restringimento della carreggiata. Uno sprint assai meno lineare del solito.

Anche questa settima tappa si mantiene su di un registro intermedio, alla ricerca di variazioni, emozioni in piccola scala, brevi accensioni. Stesso registro della maggioranza delle tappe, incerte, mai troppo facili, mai troppo difficili, come se entrambe le cose andassero dosate con estrema prudenza. Tinte troppo accese, in certi ambienti, finiscono per essere volgari. Questa volta, nella piccole proporzioni, si trova un equilibrio dinamico. I primi 60 chilometri passano tranquilli lungo le tiepide rive dei laghi di Bienne e Morat, per poi dirigersi di nuovo verso i levigati colli dell'interno, e infine imboccare un circuito nei dintorni del capoluogo Friburgo. Il circuito in questione è certamente assai movimentato, su questi infiniti saliscendi: dopo il passaggio sulla linea del traguardo propone subito un Gpm non di estremo impegno, circa un chilometro, ma di totale discontinuità quanto a pendenze, su una non larga carreggiata serpeggiante fra i prati. I restanti 37 chilometri del giro, da ripetere due volte, non conoscono soluzione di continuità rispetto a questo incipit. Svariati cambi di pendenza, semicurve, senza pace. Si sfiora Friburgo, e all'uscita dalla città c’è lo strappo forse più impegnativo, di circa un chilometro. Gli ultimi 5 sono tutti leggermente all'insù, compreso l'arrivo su una non larga carreggiata che piega timidamente verso destra per 200 metri e verso sinistra negli ultimissimi. Una tappa di onde in una terra di laghi. Sulla carta la tappa suggerisce svariate interpretazioni. Dopo un inizio tappa facile, gli ultimi 70 chilometri hanno pochissima pianura, e non sembra molto semplice ricompattare il gruppo lungo gli innumerevoli cambi di pendenza del circuito finale. Frazione assai suggestiva. Tuttavia, con un certo rammarico bisogna osservare che nel ciclismo moderno queste sfumature, questi colori pastello, raramente fanno parte della tavolozza dei suoi principali interpreti. In genere ci vogliono tinte più forti, per ispirarne la vena creativa. Così, anche in questo caso, il tenue disegnatore di percorsi elvetico rischia di raccogliere solo telegrafiche risposte.

Tappa ancora molto simile alla precedente. Dunque costellata di strappi, dislivelli, picchiate e risalite. Tuttavia siamo di fronte ad una vera tappa di salita in scala ridotta, su di un livello di difficoltà sensibilmente più alto rispetto al giorno precedente. Un esperimento, se si vuole. Sullo stesso ondulato giro della crono finale, ma da ripetere in questo caso quattro volte, una frazione potenzialmente aperta anche agli uomini di classifica per provare ad accumulare vantaggio in vista della prova contro il tempo dell'indomani. Tappa che dunque, con il dovuto rispetto, si potrebbe aggiungere all'unica altra dedicata agli scalatori, al ghiacciaio di Sölden. Berna, una delle meglio conservate città medievali d'Europa, attende abbarbicata e labirintica sul promontorio fra le strette anse dell'Aare, l'ingresso della corsa sul pavé del suo ponte più antico. Vi si passerà per 4 identici giri da nord a sud: all'andata diritto per la centralissima e sconnessa Kramgasse, l'antica via dei droghieri, oggi ricettacolo di boutique di lusso all'ombra dei bassi portici barocchi; al ritorno sul lungofiume dell'Aare per imboccare l'ultimo strappo in pavé intorno al 10%, di un chilometro, a risalire verso la periferia nord della città, dove è posizionato l'arrivo. In mezzo, la solita infinita serie di ondulazioni, nella quale si contano almeno 4 tratti di salita oltre il 10% tutti intorno al chilometro di lunghezza. Tuttavia, nella parte centrale del circuito, dal 14esimo al 22esimo chilometro, due di questi duri strappi sono incastonati in un più lungo tratto pressoché sempre ascendente, fino a raggiungere una piccola valle di aspetto alpino, solcata dalla strada da percorrere, sempre invariabilmente, spietatamente ondulata. Il percorso poi ha un tratto di sostanziale recupero, non difficile, ma interrotto da una improvvisa contropendenza e, al ritorno in città, tormentata da una serie di curve tra le vie, ivi compreso un angusto sottopasso ferroviario. Un breve tratto pianeggiante lungo l'Aare prelude ad un adrenalinico finale, che pare disegnato apposta per complicare il più possibile la vita a qualunque gruppo o gruppetto che volesse rimanere unito per un eventuale sprint. Dai -5 in poi ci sono nell'ordine: un chilometro di salita al 10% su pavé, un tratto su buona e larga strada sempre in salita leggermente meno dura, ma forse ancora più selettiva perché immediatamente seguente lo strappo, infine un altro paio di chilometri pianeggianti ma con successione di curve tra le viuzze del quartiere di periferia. L'ultima curva, ad angolo acuto, a fianco dell'Estade de Suisse, dista meno di 200 metri dal traguardo in sensibile piega verso destra. Tracciato veramente labirintico, complesso, adrenalinico e, nella complessità, duro. Forse, un giro in più avrebbe reso questa tappa una vera e propria battaglia. Anche stavolta, tuttavia, la mano rimane leggera, tentennante nel dirigere la corsa in una direzione ben precisa. 152 chilometri così, comunque, dovrebbero essere sufficienti ad accendere i motori più potenti.

Su un giro dello stesso circuito del giorno precedente, 38.4 chilometri fra il centro e le periferie bernesi, si deciderà questo Tour de Suisse. Una cronometro assai impegnativa, probabilmente equivalente, come sforzo, ad una lunga cronometro pianeggiante sui 50 chilometri. Ovviamente le caratteristiche richieste sono assai differenti, ma lo sforzo si avvicinerà pur sempre all'ora. Su un percorso del genere, labirintico, variegato, pieno di strappi a sorpresa sempre dietro l'angolo, restringimenti, sottopassi, risulta effettivamente fondamentale il congruo ripasso sui 4 giri della tappa precedente. Difficile memorizzarne tutte le innumerevoli pieghe in una sola ricognizione mattutina. Non facile comunque tener ben presente tutto per una ottimale gestione dello sforzo. Sommariamente parlando, i primi 12 chilometri sono i più scorrevoli e meno tormentati altimetricamente parlando, comprendenti tuttavia i due chilometri di antico pavé del cuore medievale della città, un paio di strette curve proprio all'ombra della torre dell'orologio e del Palazzo del Parlamento. Il tratto meno discontinuo di salita è sempre nella prima parte del percorso, prima dell'amena valletta percorsa dalla Mühlernstrasse. Lì probabilmente si potrebbero fare discrete differenze, insieme forse ai quasi due chilometri di salita all'interno della città a 4 chilometri dall'arrivo, risalendo dal lungofiume dell'Aare. Il resto poi è tutto da guidare con estrema attenzione, compreso il tratto tortuoso e stretto fra le case del rione adiacente lo stadio, nel finale. La cronometro non dovrebbe favorire in maniera eclatante gli specialisti, solo la partenza e il tratto alto del percorso si prestano a sviluppare il lungo rapporto con regolarità. Invece, un assetto della bici più leggero e reattivo potrebbe aiutare nei frequentissimi rilanci e ripartenze sulle rampe e dopo le molte strette curve del percorso. Anche il finale decisivo di questo Tour de Suisse va alla ricerca di un difficile equilibrio, non sia mai che si cada nella volgarità di favorire una categoria ben precisa di corridori. Questa volta però l'equilibrio non ha nulla di statico, di presumibilmente incolore: anzi siamo di fronte forse ad uno dei più spettacolari percorsi da cronometro, tra arte, natura e difficoltà tecniche, visti in questi anni.

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