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Giro d'Italia 2015 | Cicloweb

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Giro d'Italia 2015

Difficile immaginare un avvio di Giro d'Italia più discreto, più sereno, più placido di quello che vedremo nell'estremo occidente ligure sabato 9 maggio 2015. Una cronosquadre, pianeggiante come prammatica vuole, breve come la recente tradizione delle gare a tappe impone, scenografica come le regole del marketing territoriale suggeriscono, e tutta calata in un mondo parallelo e completamente ciclistico: quello di una pista ciclabile, più precisamente quella cosiddetta della Riviera dei Fiori, tutta accanto al mare, dall'uscita di San Lorenzo all'entrata di Sanremo, passando per Arma di Taggia e per alcuni tratti particolarmente stretti, tra casette colorate e pittoresche. Una gioia per gli occhi di chi guarderà, molto meno di quelli che dovranno stare attenti a guidare al meglio le bici da crono per assecondare un percorso non complicato ma sinuoso, che segue la linea del litorale e che culmina sulle strade della Classicissima. Quasi 18 km ad alta valenza turistica ma non privi di contenuti tecnici: un bell'esordio per il 98esimo Giro d'Italia.

Ancora il litorale ligure, ancora le strade della Sanremo (ma anche del Trofeo Laigueglia), ancora una tappa dal profilo altimetrico facile, anche se qualcosa già s'increspa. Da Albenga si punta ad ovest e a un giretto orario per andare ad affrontare la prima salitella della corsa rosa, quella di Testico (che appunto caratterizza il Laigueglia), che culmina dopo poco più di 30 km di tappa. Si resta per una decina di chilometri "lassù", a quote poco superiori ai 400 metri, poi si scende, si sfiora nuovamente Albenga, e al km 50 possiamo dire che inizi la vera e propria tappa da velocisti che è nelle intenzioni degli organizzatori. E nulla o quasi concorrerà a negare tali intenzioni: non la lunghezza (120 km dalla fine del giretto sul Testico al traguardo), né lo strappo di Prato Zanino, che si incontra a 50 km dalla fine (3 km tra il 6 e l'8%, che sarebbero determinanti in un finale di gara, ma non a tanta distanza dal traguardo). Qualcosa potrebbero significare i 9.5 km del circuito genovese su cui la tappa culminerà, attraverso due tornate in cui non mancano tortuosità, balzelli, tipiche insidie da percorso cittadino con conseguenti continue strappate sul ritmo. Sia come sia, la vittoria non sfuggirà a un velocista.

Fosse percorsa al contrario, sarebbe anche più interessante, questa frazione che vuol parzialmente risarcire Rapallo del triste ricordo della tappa in cui, al Giro del 2011, trovò la morte il povero Wouter Weylandt. Ma va anche bene così, con l'arrivo a Sestri e 25 km di pianura (ancora lungomare, ma è l'unico della giornata) prima del traguardo. Va anche bene perché al terzo giorno si svolazza già oltre i 1000 metri, e non è da tutti i GT proporre soluzioni così fantasiose in avvio di gara. Il culmine è l'ascesa di Barbagelata, vetta a 43 km dalla fine; ci si arriva, attraverso questa frazione molto breve, percorrendo un bel po' dell'entroterra della Riviera di Levante, con le salite di Ruta (subito in avvio, 6.5 km), di Colle Caprile (ben 12 km di lunghezza), di Scoffera (altri 12 km), di Garaventa ("solo" 5), di Propata e poi ancor più su fino allo spettacolare Lago di Brugneto, e ancora un bello strappo a Caffarena, prima dell'intensa discesa (comprendente 3 km molto ripidi e tortuosi) che porta a Montebruno e ai piedi della citata salita di Barbagelata. Dire che si trovino momenti di respiro è quantomai azzardato, anche se fin qui grosse pendenze non se ne sono incontrate: ma è tutto un salire, affrontando stradine tortuose, su cui tenere controllata la corsa sarà un'impresa da squadre molto scafate. La scalata di Barbagelata, 6 km, è bella tosta: alterna muri al 10% a brevi spianate, e solo al quarto chilometro si fa più dolce, proseguendo in falsopiano (tranne un altro breve tratto difficile al quinto chilometro) fino al Gpm. La discesa è da prendere proprio con le molle, coi suoi tornanti ripidissimi sui quali qualcuno proverà a fare la differenza: i 6 km centrali sono un toboga infernale, dopodiché la strada digrada sempre più lievemente fino a Cicagna, dove diventa del tutto pianeggiante. Una frazione in cui potrà succedere qualsiasi cosa oppure niente (se va la fuga e il gruppo sonnecchia): di sicuro chi l'ha disegnata ci ha messo tutta (o quasi) la fantasia possibile.

Quarta tappa ligure, e continua l'entusiasmante connubio tra percorsi intriganti e scenari stordenti. Si ripercorre in partenza il pezzetto di lungomare tra Chiavari e Sestri Levante, poi si guadagna l'entroterra, andando subito a salire verso la facile Colla di Velva, ottima per lanciare la fuga del giorno. Una fuga che - data la brevità, ancora, della tappa - potrebbe avere buone chance di riuscita. Dal Gpm (posto dopo 26 km) una trentina (abbondante) di chilometri interlocutori, prima del Passo del Bracco (8 km di ascesa, la prima metà decisamente più difficile) e di una discesa divisa in due tronconi, entrambi insidiosi: il primo, 4 km fino a Castagnola; il secondo (dopo 7 km di mangia&bevi) consta di 6 km meno arzigogolati ma più ripidi fino a Levanto, dove si respira di nuovo l'odore del mare. Ma è solo un attimo, visto che si riprende subito a salire fino al Passo del Termine (una decina di chilometri di ascesa, e i 6 centrali sono di salita vera, con pendenze spesso tra il 7 e il 10%). Cosa manca, a questo punto, per coronare una quattro giorni di ciclismo e turismo in Liguria? Le Cinque Terre, ovviamente! Passaggio obbligato, ma Volastra, Manarola, Riomaggiore, saranno superate di slancio, lungo una discesa molto complicata che porterà - dopo un tratto di leggera contropendenza - alle porte di La Spezia. La seconda parte della picchiata (6 km più facili rispetto al tratto precedente) dovrà essere ben memorizzata dai corridori, visto che verrà affrontata due volte: e se c'è discesa, ciò significa che ci sarà ancora salita, prima del traguardo! Non bastava arrivare a La Spezia, un circuito di 18 km attende ancora il gruppo, in parte per le vie del capoluogo, in parte appena fuori porta; e il piatto forte è la salita di Biassa, un muro di 3 km di difficoltà crescente: il primo chilometro al 5-6%, il secondo al 7%, il terzo al 9%, e dal Gpm non mancano che 10 km alla fine (di cui i primi 6 sono la già citata discesa). Una frazione che gli altri grandi giri possono solo sognare: spettacolare sotto tutti i punti di vista.

Se qualcuno verrà al Giro convinto di potersi giovare di una partenza soft per poi gettare il proprio sguardo fino al Tour, dovrà far bene i propri conti. Dopo lo scoppiettante inizio ligure, infatti, al quinto giorno si approda al primo dei sei arrivi in quota della corsa rosa. La singolare coincidenza di questi traguardi all'insù è che sono tutti posti su salite non complicatissime; ma mentre quelli della terza settimana saranno preceduti da grandi scalate, quelli della prima saranno fissati al termine di tappe un po' più soft. Ci si può ben accontentare, visto che siamo ai primi giorni di gara. La frazione che riporta il Giro in Toscana dopo un anno di assenza si sviluppa dal mare di La Spezia fino al cuore degli Appennini. Al km 57 il primo dei due Gpm di giornata, Foce Carpinelli, posto in cima a una salita che nominalmente misura 20 km, ma che di fatto si riduce a 10 km al 5% (da Casola in Lunigiana). Le Alpi Apuane sono appena lambite, si punta verso la Garfagnana e le terre di Giovanni Pascoli (si passa anche da Castelvecchio), qualche strappetto qua e là, un falsopiano verso Barga, poco di significativo, altimetricamente parlando. Le cose si fanno più interessanti nel finale. Dopo una ventina di chilometri di falsopiano, un paio di chilometri verso Popiglio fanno sentire le prime pendenze un po' arcigne della giornata, ma poi sono seguite da un ulteriore falsopiano; inutile attendersi sfracelli in questa fase. Qualcosa potrà accadere invece sulle rampe dell'Abetone, 13 km di scalata, ma quelli veri sono i primi 8, con pendenza media del 7% (e massima del 10%), dopodiché gli ultimi 5 km non raggiungono nemmeno il 5%. Prevedibile un arrivo di gruppetto, coi più forti della classifica a giocarsi gli abbuoni. Di sicuro, però, nessuno potrà permettersi il lusso di un benché minimo momento di distrazione.

Dopo tre giorni che per loro saranno stati da mal di testa, i velocisti possono tornare a far rombare le loro ruote sul quinto traguardo marino in sei tappe. A Castiglione della Pescaia non ci saranno storie, sarà questione di volata. Sì, a metà della decisa rotta verso sud (partenza dalle terme di Montecatini) il piattone etrusco è interrotto da una bella fase di 60 km di saliscendi (a partire dalla salitella di Pomarance); va bene che si tratta di un terzo della tappa, ma le tante rampette di questa fase (siamo nella zona di Volterra) non sono poi così tremende, e soprattutto dall'ultima guglia ci sono 20 km di discesa sui quali anche il più bolso degli sprinter eventualmente staccati riuscirà a rientrare in gruppo, quindi oltre 40 di pianura lungo i quali i vari treni si organizzeranno al meglio per annullare quella che sarà la pleonastica fuga del giorno e preparare il terreno per la sfida ad alta velocità che vedremo consumarsi sul lungomare di Castiglione.

Il Garibaldi la definisce "tappa pianeggiante", e probabilmente finirà col vincere in effetti uno sprinter. Ma ci sono un paio di particolari di cui si deve tenere conto nell'analizzare la frazione che sfiora la Capitale. Il primo di questi particolari è la lunghezza inusitata: 264 km in un grande giro non si vedono quasi mai tutti in un giorno. Ma la necessità di non lasciare del tutto fuori il meridione (che sarà toccato nei due giorni successivi) spinge a questo chilometraggio-monstre. Il secondo particolare di cui tener conto per fare la tara alle possibilità dei velocisti è l'arrivo, posto non su un piattone ma al termine di 20 km conclusivi molto arcigni. Tra la fatica delle oltre sei ore in bici che attendono il gruppo, e i due strappetti del finale, non saranno troppe le ruote veloci che arriveranno a giocarsi il successo. La prima delle due salitelle, in località La Forma, misura 4 km (al 6%), è seguita da 2 km di falsopiano e 2 di discesa (ripida soprattutto nella prima metà); il secondo strappetto è in realtà il falsopiano che conduce alle porte di Fiuggi, 5 km abbastanza regolari e non difficili, ma sufficienti a svuotare le gambe di più di un contendente. I 4 km successivi, in piano, precedono una nuova rampetta all'ultimo chilometro, prima del rettilineo conclusivo, 350 metri che tirano leggermente all'insù fino al traguardo posto classicamente davanti alle Terme di Bonifacio VIII.

Arrivo in salita numero due per il Giro e frazione che darà un altro assestamento alla classifica. Non parliamo ancora di tappe decisive, anche se la crisetta per qualcuno può manifestarsi quando meno ce lo si aspetta: ma il percorso, pur se interessante, non autorizza nessuno a mettere il circoletto rosso intorno a questo traguardo molisano più volte visitato dalla corsa rosa in passato. Partenza in leggera discesa da Fiuggi, poi la strada si mette all'insù verso Veroli, ma si tratta di uno strappetto che non lascerà tracce, e che soprattutto non ha nulla a che vedere con la salita successiva, quella che conduce fino alla Forca d'Acero, attraverso la bellezza di 30 km di scalata. Come pendenze siamo però su dolci declivi, 5% la media della prima metà, 4% quella della seconda. Né le cose cambiano con le due successive rampette, a Barrea e Forlì nel Sannio. Qui c'è una modifica rispetto al percorso disegnato in autunno: in origine era previsto un passaggio da Rionero Sannitico e quindi dal Valico del Macerone (salitella di antica frequentazione del Giro), ma problemi di viabilità hanno escluso tale rampa (su cui Gino Bartali si esaltava), sicché si punterà dritti su Isernia e sul falsopiano che segue la cittadina molisana. I 13 km della scalata conclusiva non promettono grossi fuochi d'artificio: quella di Campitello Matese, anche se insidiosa (qualche breve tratto all'8-9% c'è pure), è una salita su cui si sta bene a ruota, e su cui di conseguenza non sarà facile per nessuno fare la differenza. Prevedibile un altro arrivo di gruppetto dei migliori della classifica, con gli abbuoni che potrebbero rappresentare ancora un importante fattore.

Non ci sono neanche 10 km tra Benevento e San Giorgio del Sannio, ma spesso il ciclismo è l'occasione meno indicata per trovare la linea più breve che unisce due punti già vicinissimi. Questa ultima frazione della prima fase del Giro ne è un esempio lampante, visto che i corridori dovranno sciropparsi oltre 200 km per spostarsi dalla prima località alla seconda. E saranno 200 e passa km ricchi di cose e situazioni: una tappa tutta da interpretare, insomma. Dopo la partenza il gruppo si concederà una breve escursione a nord del capoluogo, con salitella verso Pesco Sannita, passaggio da Pietrelcina e ritorno: con questo bizzarro pellegrinaggio voleranno via i primi 30 km; i successivi 50 rimangono interlocutori, anche considerando i 5 km della salita di Grottolella; e a voler essere proprio pignoli, non è che si possano definire in maniera troppo diversa i 20 km di ascesa a Monte Terminio, pendenza media del 4%. Le cose cambiano un po' nell'affrontare la quarta salita di giornata, il Colle Molella (che poi non porta ad altro luogo se non a Lago Laceno, dove il Giro è arrivato nel 2012). I primi 5 km di scalata sono abbastanza trascurabili (4% la pendenza), poi l'impennata con 3 km al 10% prima della spianata finale. Dal Gpm si percorre la breve spianata del lago e si torna a salire per altri 3 km fino a Serro Tondo, punto più alto della frazione. Gli ultimi 80 km sono apparentemente più anonimi: la discesa verso Lioni è appena tecnica nella prima parte, poi si velocizza, e i successivi 50 km, in gran parte su strade larghe e senza pendenze sensibili, rischierebbero di neutralizzare il poco che dovesse essere emerso da Colle Molella. Però la tappa più meridionale del Giro 2015 ha il veleno nella coda, e questo veleno si chiama Passo Serra: si tratta di 3 km di salita in gran parte tra l'8 e il 10%, seguiti da 1.5 km di picchiata verso Dentecane molto ripida e con almeno tre curve ad angolo retto, sulle quali bisognerà usare molta cautela. In questi 5 km qualcuno può involarsi, anche se gli ultimi 9 della tappa, per metà in falsopiano discendente, per un quarto in falsopiano a salire e per l'ultimo quarto praticamente in piano, facilitano il compito di chi dovrà inseguire (a patto che abbia qualche gregario da spendere).

Ripartenza soft dopo il primo giorno di riposo e il lungo trasferimento dalla Campania alle Marche. Frazione praticamente gemella di quella che, alle stesse latitudini ma sul versante tirrenico, ha portato il gruppo da Montecatini a Castiglione. Andamento quasi uguale, un lungo piattone interrotto a metà da qualche saliscendi, in questo caso la Panoramica Adriatica tra Pesaro e Gabicce Mare, una bella strada che sta diventando un passaggio fisso del Giro negli ultimi anni. A Rimini si lascia poi la Riviera Romagnola per addentrarsi (passando per Cesena) alla volta di Forlì, sede d'arrivo che sarà raggiunta dopo un interminabile rettilineo di 15 chilometri sulla Via Emilia.

La classica tappa delle tante salitelle appenniniche quest'anno risulta un po' meno classica, un po' perché va a concludersi in autodromo, ovvero in un luogo che solitamente associamo alla velocità e alle volate, un po' perché lascia le rampe più arcigne alla prima metà del percorso (già breve di suo), e un po' perché sceglie l'opzione circuito per il finale. Nulla da recriminare per i primi 75 km della frazione: da Forlì ci si sposta verso le montagne, ed è un fuoco di fila di ascese e discese, con nell'ordine Passo del Trebbio, Monte Casale, La Valletta (la più breve - neanche 3 km - ma anche la più dura, oscillante tra il 10 e il 15% di pendenza), Monte Albano e Valico del Prugno; alcune delle tipiche scalate della Settimana Coppi e Bartali, insomma. Nella seconda metà però il percorso cambia pelle, va a riguadagnare la via Emilia e quindi Imola, sede d'arrivo, e per provare a dare un senso a una tappa che altrimenti rimarrebbe veramente monca, l'organizzatore s'inventa un circuito di 15 km intorno alla salita dei Tre Monti, da ripetere 4 volte. Questa salitella non è davvero niente di che, teoricamente è lunga 4 km, ma presenta un chilometro all'8% all'inizio, poi spiana e offre giusto un'altra rampetta di 300 metri poco prima dello scollinamento, momento dal quale mancheranno pur sempre 8 km di facile discesa fino al traguardo. Teoricamente ci sarebbe spazio per recuperare, in questo circuito conclusivo; ma si tratta di una tappa che è tutta un saliscendi e che sarà quindi molto difficile da tener chiusa: l'ipotesi "fuga in porto" è propriamente inscritta nel DNA di un tracciato del genere.

130 km di Pianura Padana, quindi 60 km di apprezzabili possibilità di divertirsi: non una tappa in cui si scriverà la storia del Giro, ma un'occasione d'oro per i finisseur che avessero voglia di provarci seriamente. I giochi iniziano, una volta superata Monselice, nel cuore del Parco dei Colli Euganei: la salita di Castelnuovo, 5 km, inizia forte ma poi si addolcisce strada facendo, dichiarando col suo profilo altimetrico di non essere ancora quella adatta a lanciare gli attacchi buoni; lo stesso discorso vale per lo strappetto di Teolo, immediatamente successivo. Superato il quale, ci vogliono 10 km di pianura per arrivare nella zona del vicentino. Ed ecco lì la salita che potrà fare la differenza: è quella di Crosara, 4 km scarsi, pendenza media oltre il 9% e massima (nella prima parte) al 17%: è qui che chi ha gamba deve provarci, pur con la consapevolezza che per portare a casa la vittoria ci vuole una vera impresa: dalla vetta mancano 27 km al traguardo, i primi 6 sono di discesa insidiosa, poi ce ne sono 5 di pianura prima di un nuovo strappetto, a Perarolo, che concentra in un chilometro e mezzo quanto visto poco prima a Crosara: inizio duro, falsopianetto man mano che si va verso la "cima". Non è preventivabile il ruolo di questa rampa: taglierà le gambe a chi sarà partito in precedenza, o al gruppo che avrà ulteriori difficoltà ad organizzare l'inseguimento? Nel caso il plotone (o quel che ne sarà rimasto dopo Crosara) riesca nell'intento di annullare ogni attacco, rimane ai finisseur l'ultima carta: quella di Monte Berico, sede d'arrivo a Vicenza: non una gran salita, poco meno di un chilometro, ma le pendenze sfiorano il 10%, quanto basta per escludere in ogni caso il volatone.

Lo sprint mancato nella tappa vicentina lo ritroviamo sereno e pacioso in quella di Jesolo. Pochissimo da dire di questa frazione che precede le prime giornate veramente decisive del Giro 2015: è tutta in pianura la strada che, dalle porte di Vicenza, conduce alla Laguna di Venezia. Remi in barca per tutti nell'attesa della volatona sul lungomare, con arrivo che le planimetrie ufficiali pongono al termine di un rettilineo di quasi 4 chilometri.

Il piazzamento della cronometro è quantomai strategico, nel disegno di un grande giro. Se la si pone alla fine, dopo le montagne, non si favoriscono gli specialisti (si sa che i valori nell'ultima settimana tendono ad appiattirsi ed emerge chi è più in forma e ha miglior recupero), ma si tengono sotto scacco gli scalatori, obbligati - nelle tappe di salita - ad attaccare perché non sanno quanto perderanno contro il tempo. Se la si pone invece prima delle decisive frazioni di montagna, chi va meglio nell'esercizio potrà mettere molto fieno in cascina e però i grimpeur sapranno esattamente quanto dovranno provare a recuperare sui terreni a loro più adatti. Lunga dissertazione per concludere che una regola precisa non c'è. Stavolta l'organizzatore ha optato peraltro per un chilometraggio importante: quasi 60 km di cronometro è misura alla quale siamo quasi disabituati, da un po' di anni in qua. Questa tappa ha poi molto della prova per specialisti. Da Treviso si punta a nord e i primi 30 km sono un sogno per passistoni, con lunghi rettilinei in piano. Lo scenario è quello del Veneto operoso, tanti capannoni, tante zone industriali, almeno fino a Bagnolo, località da cui si svolta lasciando la strada principale per un cambio di ritmo che va alla ricerca di uno strappetto: certo, per definire "Gpm" i 5 km verso San Pietro di Feletto ci vuole molta buona volontà: di fatto, tolti 500 metri un po' più seri all'inizio, è tutto un falsopiano, che però ha il merito di guadagnare zone più compiutamente campagnole, collinari quasi, con contorno di preziosi vigneti. Il percorso si fa più vario, se non altro a livello planimetrico, visto che l'altimetria, poco dopo il citato strappetto, torna a offrire almeno altri 15 km di pianura. È a Guia, già superati i 50 km di tappa, che si incontra una salita un po' più vera, lunga solo 1.5 km, ma con pendenze da rapporto più agile (tra il 6 e il 7%), non foss'altro per l'acido lattico che, a fine prova, sarà già presente in quantità importanti nelle gambe di chi pedalerà. Il finale tradisce la filosofia della lunga crono, l'approdo a Valdobbiadene arriva per saliscendi, moderato certo, ma comunque nemico del ritmo da specialista. L'ultima curva, poi, a destra, ad angolo retto, al termine di una bella discesa di 500 metri, chiama a un'estrema prova di lucidità: sbagli quella (specie se piove), assaggi le transenne e mandi all'aria i 59 km di sforzo precedente. I 400 metri finali tirano all'insù, ma ormai, dopo questo po po di cronometro, risulteranno pleonastici.

Le Alpi! Inizia con l'approdo al Trentino la settimana più lunga del Giro 2015. Ovviamente quella decisiva, ovviamente la terza. Fin qui non si è certo giocato, abbiamo visto le molteplici insidie disseminate su un percorso che qualcuno commetterà il grave errore di sottovalutare; ma da Marostica a Milano davvero non si scherza più. Questa tappa, diciamo il suo finale, lo ricordiamo come bizzarro "sconfinamento" del Giro di Polonia dell'anno scorso. Altre cose legate a Madonna di Campiglio, le abbiamo sinceramente del tutto rimosse. Primi 50 km senza sussulti, poi come detto l'approdo al Trentino porta in dote l'impennata della corsa. La Fricca è la prima salita alpina, non contiamo il docile falsopiano che la precede, da Lastebasse sono 10 km che non mancano di passaggi impegnativi. Essendo ancora a oltre 100 km dal traguardo, è presumibile che questa sarà scalata percorsa a marce ridotte dai big del gruppo; buon per i fuggitivi di giornata, che qui potranno mettere in banca un tesoretto da riscuotere all'arrivo. La lunga discesa verso Trento, quasi 25 km spezzati a Vigolo Vattaro da una piccola, quasi impercettibile contropendenza, non presentano criticità. Una volta giunti al capoluogo, la tentazione di salire al Bondone viene dribblata circumnavigando la mitica salita, percorrendo una strada mista che alterna piccole scalate (verso Cadine, verso la zona delle Terme di Comano) a una dolce passeggiata accanto al Lago di Toblino prima e di Ponte Pià poi, in uno scenario che farà la felicità degli elicotteristi delle riprese televisive. Se fin qui e anche oltre (diciamo fino a 40 km dalla conclusione) le vette più alte si specchiano nell'acqua lacustre, a Preore le cose cambiano decisamente. Si imbocca il Passo Daone, pendenza media del 9% lungo 8 km che potrebbero già separare i buoni dai cattivi, se ci fosse la volontà di dar fastidio da parte di qualcuno. Gli 8 km di picchiata dal Gpm a Spiazzo, peraltro, non sono certo da sottovalutare, con i loro tornanti e le loro pendenze spessissimo in doppia cifra. Il problema per l'attaccante coraggioso non è nemmeno da situare nel fondovalle verso Pinzolo, che è un tratto breve (neanche 10 km), quanto proprio nella salita conclusiva. I primi 10 km verso Madonna di Campiglio sono al 6%, poi 3 km di spianata fino alla località d'arrivo bagnerebbero le polveri di chiunque, prima degli ultimi 3 km con pendenze prossime al 7% fino a quota 1715. L'unico scenario di vera lotta tra i big diventa quindi la possibilità di far fuori i gregari sul Daone, selezionare un gruppetto lasciandone fuori qualche pezzo grosso, e fare le scarpe a costui tenendolo a distanza sull'ascesa conclusiva. Una tappa che rivoluzioni in toto la classifica? No. Una tappa che qualcuno - magari in giornata no ed esposto al rischio di pagare minuti e minuti - potrà rimpiangere amaramente? Sicuramente sì.

16a tappa: Pinzolo - Aprica
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Mar, 26/05/2015
177.0 km
Partenza: 
Pinzolo ore 11.55
Arrivo: 
Aprica ore 16.50-17.40
16a tappa: Pinzolo - Aprica
Sprint intermedi: 
Corteno Golgi km 92.8, Tirano km 119.6
Gpm: 
Campo Carlo Magno (1681 m-2a cat.) km 13.3, Passo del Tonale (1882 m-2a cat.) km 55.5, Aprica (1173 m-3a cat.) km 100.9, Passo del Mortirolo (1854 m-1a cat.) km 140.7, Aprica (Arrivo-1173 m-3a cat.) km 174

La tappa del tutto per tutto, se una ce n'è al Giro 2015. Viene dopo il secondo giorno di riposo, quindi ciò significa che qualcun avrà potuto recuperare bene, e come al solito qualcuno invece patirà. Parte subito con una salita, che poi è di fatto la stessa dell'arrivo di due giorni prima, con la piccola differenza che una volta arrivati a Madonna di Campiglio non si svolta a sinistra verso il traguardo ma si prosegue dritti verso la cima di Campo Carlo Magno, altri 2 km duretti. La prima parte della successiva discesa è senza problemi, ma gli ultimi 5 km verso Dimaro sono tutto un tornante e controtornante: occorrerà concentrazione, e soprattutto non correre alcun rischio, anche perché pur nell'ipotesi di perdere qualche metro, c'è la consapevolezza che la decina (abbondante) di chilometri di fondovalle permetterà di rimettere in sesto qualsiasi situazione. La seconda scalata del giorno è, coerentemente a tutte le altre meno una, abbastanza abbordabile, se la compariamo agli standard del cicloalpinismo diventato di moda negli ultimi anni. Il classicissimo Tonale da Fucine consta di 15 km molto regolari, 6% la pendenza media, spianata negli ultimi 2 km, insomma non proprio la salita su cui dare di matto. Ma dislivello s'aggiunge a dislivello (e alla fine dei 175 km di tappa i computerini segneranno la bella misura di 4407 metri di dislivello complessivo), e nella frazione del Mortirolo tutto diventa importante. I 30 km dal Gpm a Edolo non fanno paura a nessuno, la discesa fino a Ponte di Legno è abbastanza agevole, e nel falsopiano di fondovalle ci saranno ancora tanti gregari (o forse tutti) a proteggere i capitani. Certo, a questo punto qualche gioco tattico si sarà già ben visto, tra luogotenenti mandati in avanscoperta tra Campiglio e Tonale, e squadre pronte al forcing sulla terza salita del giorno, quella verso Aprica. La prima delle due scalate a questa autostrada di montagna, benché in avvio presenti un chilometro all'11%, servirà - coi suoi 12 km di falsopiano fino al Gpm - proprio a preparare il terreno per chi avrà intenzioni bellicose da mettere in campo sul Mortirolo. La discesa verso Stazzona (12 km) non è certo piatta ma necessita di continui rilanci: buoni per tenere lontani i crampi in vista del protagonista della giornata. Lui, che arriva dopo 15 km di fondovalle intorno a Tirano, lo conoscono ormai tutti, non occorre neanche più citarlo. Il versante di Mazzo è una delle scalate più difficili del ciclismo. Nei primi 3 dei 13 km complessivi quasi si balla leggeri, e invece siamo vicini al 10% di pendenza media. Dal km 3 al km 9, un incubo: la pendenza media sale al 12%, il che significa tratti anche al 15, al 16, al 18, respiro che si fa corto, gambe in croce, visioni mistiche davanti agli occhi. E quegli ultimi 3 km attesi come un Eden di pace, perché appena più dolci, ma parliamo ancora di pendenze del 9%. A voler fare, ci sarà tanto da combinare, su questo moloch dello sport. Ma in cima le fatiche non sono ancora finite, perché poi ci sono 17 km di discesa verso Edolo, di nuovo. Qualcuno potrà provare ad involarsi in questo settore? Chi può dirlo, tutto può accadere in una tappa del genere, di sicuro ad avere coraggio non mancano tratti in cui si può aprire il gas. Da Edolo, la risalita verso Aprica avrà stavolta tutt'altro spessore rispetto al precedente passaggio: l'ultima rasoiata è il già citato chilometro all'11%, e poi il falsopiano, che stavolta verrà affrontato coi corridori uno per cantone, sarà uno stillicidio tra forze residue, anche mentali. Forse il Giro non verrà deciso alla fine di questa tappa. Ma forse sì, a 5 giorni dalla conclusione.

L'intelligenza del disegno della 98esima corsa rosa è nell'alternanza tra giornate campali e momenti in cui tirare il fiato. È in quest'ottica che va letto l'unico sconfinamento, in Canton Ticino, per un arrivo a Lugano che non dà alcun valore aggiunto al tracciato del Giro, ma che offre una nuova chance ai velocisti, chiamati a presenziare un'altra volta in prima fila senza dover aspettare la passerella milanese. A voler ulteriormente sottolineare il carattere di mero trasferimento pedalato di questa frazione, anche la sua brevità (134 km), e c'è da scommettere che l'ascesa prevista in partenza, il Teglio, sarà affrontata dal gruppo ad andatura molto regolare. Quando, dopo il Gpm e un giretto sulla panoramica valtellinese, si piomberà su Sondrio, mancheranno 100 km alla fine, e le squadre dei velocisti avranno tutto il tempo per mettere nel mirino la fuga che sarà presumibilmente già partita sulla salita, per tenerla a distanza di sicurezza e per ridurre tale distanza sui 25 km di lungolago di Como (versante nord). A Menaggio, poi, si svolterà ancora verso ovest e, attraverso lo strappetto di Croce di Menaggio (destinato anch'esso a non incidere) ci si appropinquerà a Porlezza, ai territori del piccolo mondo antico fogazzariano e al Lago di Lugano, lasciatosi alle spalle il quale, già in territorio svizzero, non resterà che sprintare.

La due giorni dei grandi laghi norditaliani non poteva mancare di un sentito omaggio al Lago Maggiore, in un tracciato che offre di continuo anche un'insistita e meritoria ricerca del bello paesaggistico. E il percorso che si snoda dalla piccola cittadina di Melide, all'esordio al Giro, verso il Verbano, in una delle zone più incantevoli della penisola, ha davvero tanto di bello. 15 km di Svizzera prima di rientrare in Italia, passaggi dal varesotto costeggiando appunto il Lago di Varese e poi quello di Comabbio, e poi, da sud, da Sesto Calende e circumnavigando il Maggiore su su verso Arona, Meina, Stresa, Baveno, e concedendosi anche un giro intorno all'incantevole Lago di Mergozzo, si tocca una prima volta Verbania (o meglio, la gemella Intra), per poi continuare a risalire verso nord fino a Cannero Riviera. Fin qui, oltre 120 km di pianura quasi incontrastata, da qui in avanti il giro antiorario per tornare a Verbania sarà tutto da seguire anche a livello ciclistico e non solo turistico. La novità si chiama Monte Ologno, lo si approccia a poco meno di 50 km dalla fine ed è tutto meno che accondiscendente: la pendenza media è del 9%, l'ascesa è abbastanza regolare nella sua durezza, e dopo il Gpm non potrà certo esserci un calo di attenzione, visto che prima della discesa su Verbania ci sono 20 km di ulteriori saliscendi: primo tratto all'ingiù di 2 km, poi 3 km di risalita e altri 3 km lassù per arrivare a Piancavallo; seguono i 6 km più insidiosi, discesa tecnica e ripida, quindi nuovo strappetto di 3 km (in realtà un falsopiano) verso Premeno, e solo qui iniziano i 15 km di declivio via via sempre più lieve che riportano a Intra e quindi al traguardo lacustre di Verbania. Tappa difficile da interpretare perché forse schiacciata (questa sì) dal pensiero delle due frazioni che verranno subito dopo. Eppure, il terreno per movimentare le cose c'è tutto: e lasciarlo sprecato sarebbe un vero peccato.

Eccolo qui, quello che potrebbe risultare come il vero tappone di montagna del Giro 2015. Usiamo l'accrescitivo perché questa frazione, diversamente dalle altre alpine, ci aggiunge anche la carta di un chilometraggio importante. E anche se le scalate sono solo tre (ma belle lunghe) e concentrate nell'ultimo terzo del tracciato, i primi 150 km, seppur non troppo significativi (qualche strappetto - vedi La Serra, o Saint-Vincent, o Fenis - e niente più), lasceranno scorie per il solo fatto di essere percorsi. E poi non dimentichiamo che per la prima volta si tocca quota 2000 metri, proprio all'arrivo (2001, per la precisione). Intendiamoci, le pendenze non sono nemmeno lontanamente comparabili a quelle del Mortirolo; ma la successione salita-discesa-salita-discesa-salita è quella giusta, e negli ultimi 85 km di tappa non lascerà respiro. Il Saint-Barthélemy, la prima delle tre ascese, è anche - teoricamente - la più lunga, coi suoi 20 km, ma gli ultimi 4 fino al Gpm sono quasi in piano, quindi li possiamo anche non considerare per concentrarci sui primi 16 che invece, pur presentando anche qualche spianata e addirittura contropendenza, si mantengono quasi costantemente intorno al 7% di pendenza. Si scollina a 66 km dal traguardo, ne seguono 20 di discesa fino a Chambaye: tutto sommato gestibile nei primi 6 km, poi decisamente più impegnativa nella parte centrale, per poi spianare abbastanza man mano che si scende a valle. Ai -44 inizia il Col Saint-Pantaléon, la più arcigna delle tre scalate: la pendenza media è del 7% abbondante, ma anche qui non mancano, lungo i 16.5 km di ascesa (punteggiati da infiniti tornanti), tratti molto facili, il che presuppone che ce ne siano anche di piuttosto impegnativi: tipo i primi 8 km all'8%, o gli ultimi 2 al 9. Dalla cima la discesa stavolta è breve, poco meno di 10 km, i primi 3 non troppo ripidi, gli altri, da Torgnon fino ad Anthey-Saint-André, con pendenze tra il 7 e il 10%, anche se progressivamente più scorrevoli (nel senso che le curve si diradano). Giunti ad Anthey, non rimane che l'ultima scalata, verso Cervinia. La conosciamo bene, il Giro ci è stato due anni fa, e sappiamo che si tratta di 19 km sostanzialmente facili, se presi in sé e per sé. Alla fine di una frazione del genere, però, tutto torna in discussione. I primi 4 km di scalata sono decisamente trascurabili, poi un tratto al 7% precede una nuova spianata, e solo dopo 8 km possiamo dire di entrare nel vivo della salita: è nella località di Mayen che iniziano i 9 km più impegnativi e costanti, con pendenze tra il 6 e l'8%, dopodiché gli ultimi 2 km sono nuovamente pianeggianti. In definitiva, una tappa per uomini di esperienza, perché la luce si può spegnere in qualsiasi momento, in quegli 85 km finali, ma allo stesso modo può riaccendersi se si riesce a gestirsi e a non lasciarsi andare alla deriva, perché - come ripetuto più volte - i tratti di possibile recupero sono molti. Frazione tutta da giocare, con un occhio alla spia della riserva, per tenere da parte qualcosa anche per la decisiva giornata dell'indomani.

Colle delle Finestre, rieccoci a te. Una delle scoperte recenti del ciclismo italiano (e quindi mondiale) ritorna in grande stile, per una tappa che promette di essere quella definitiva dell'edizione 2015 della corsa rosa. Si sfiorano i 200 km di lunghezza, si va ancora oltre i 2000 di altitudine (proprio il Finestre è la Cima Coppi del Giro), ma perché la frazione entri nel vivo bisogna aspettare i canonici 150 km di pianura, dalla Valle d'Aosta, passando per Torino (o zone limitrofe, vedi alla voce Reggia di Venaria) e approdando alla Val Susa, da cui si snodano i 45 km decisivi. Il Finestre ne misura ben 18.5, ed è una salita francamente strepitosa: pendenza media del 9%, di incredibile regolarità, e quasi divisa in due esattamente tra strada asfaltata e strada sterrata. Il "quasi" significa 10.5 di asfalto (con infinita teoria di tornanti) e 8 (o qualche metro di meno) di sterro, dal Colletto (cosiddetto) fino al Gpm. Il tutto in uno scenario quasi western man mano che si avvicina la vetta, con le sue balconate naturali sulle quali le sagome dei tifosi assumono forma quasi irreale. Ma chi scollinerà in vetta al Finestre non potrà dire di aver vinto il Giro, perché le fatiche non sono ancora finite: gli 11 km di discesa fino a Pourrières sono tutt'altro che banali, nel senso che non si potrà mettere il pilota automatico e farsi guidare fino a valle dalla forza di gravità: dopo i primi 2 chilometri (quelli sì, ripidi), ci sarà da pedalare eccome per rilanciare di continuo su pendenze lievi o addirittura su alcuni tratti in piano. Recuperare gli sforzi della scalata diventa così molto difficile, i crampi da malagestione sono sempre in agguato, e quando si arriva in fondo rimangono altri 17 km di scalata al Sestrière. Esattamente come tutti i precedenti arrivi in quota, la salita conclusiva è più facile di quella che viene prima, a livello di pendenze; ma estremamente più difficile a livello di interpretazione, e anche in quest'ultimo caso la regola è confermata. Perché questo Sestrière sarà pure semplice, avrà pure i 7 km iniziali, fino a Pragelato e anche poco oltre, che sono quasi pianura, ma è un drittone che non finisce mai, spezzato solo da un paio di tornanti (nel punto di massima pendenza, peraltro), e in questi casi la testa conta moltissimo, conta tanto la capacità di soffrire e di mettere sulla strada le estreme energie rimaste. Sugli ultimi 5.5 km al 6%, al termine di una tappa così strutturata, che a sua volta viene al termine di tre settimane tanto intense, potremmo vedere bambole e imprese che neanche su uno Zoncolan. Guai a sottovalutare il Sestrière. Guai a non essere più duri della roccia e più duttili dell'acciaio. Lassù, all'ombra delle torri cilindriche progettate da Bonadè-Bottino, edifici che 80 anni fa rappresentavano un'avanguardia assoluta in campo architettonico, trionferà un'avanguardia assoluta in campo ciclistico: il razionalismo della perfetta preparazione agonistica coniugato alla follia dell'impresa ai limiti dell'umano. Tutto quello che, da sempre e per sempre, ci fa amare questo meraviglioso sport.

Dopo due anni di gran finale itinerante (Brescia, poi Trieste), l'epilogo del Giro torna nella natia Milano. L'opzione scelta, come nelle ultime due edizioni, è quella della passerella finale. Alla quale, evidentemente, c'è poco da aggiungere in sede di commento del percorso: il piattone parte da Torino, si sviluppa per 140 km da ovest a est fino a Milano (non trascurando un passaggio da Rho e dall'area di Expo 2015, obbligatorio omaggio), ed è coronato dal circuito meneghino, 5.4 km da ripetere 7 volte. Tutto molto facile, si partirà con la festa dei vincenti (ma anche di quelli che semplicemente porteranno orgogliosamente a termine la corsa), si finirà con le alte velocità delle strade milanesi, tra il Castello Sforzesco simbolo del circuito e il chilometro di rettilineo in Corso Sempione su cui si svilupperà l'ultima volata del Giro, giusto qualche minuto prima delle attesissime premiazioni.

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